Seul, 14 gen. (Adnkronos) - Nuova "provocazione" da parte della Corea del Nord. I militari sudcoreani segnalano di aver rilevato lanci di missili balistici a corto raggio intorno alle 9.30 ora locale dalla zona di Ganggye in direzione del Mar del Giappone, come riporta l'agenzia sudcoreana Yonhap. Lo Stato maggiore congiunto sudcoreano non indica quanti missili siano stati lanciati, ma precisa che hanno volato per 250 chilometri prima di finire in mare in quella che viene considerata una "palese provocazione" e una minaccia per la pace e la stabilità nella regione. "In previsione di ulteriori lanci, i nostri militari hanno intensificato il monitoraggio - precisano - condividendo le informazioni con Usa e Giappone". Lo scorso 6 gennaio Pyongyang ha annunciato di aver testato con successo quello che dai nordcoreani è stato descritto come un missile balistico ipersonico a medio raggio .
Palermo, 14 gen. (Adnkronos) - E' in corso dall'alba di oggi una vasta operazione della Polizia di messina contro la criminalità organizzata barcellonese. Eseguita un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Messina, su richiesta dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 15 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro. Per le operazioni di polizia giudiziaria - coordinate dalla Squadra Mobile della Questura di Messina e dal Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto - sono impiegati circa 150 agenti della Polizia di Stato, tra cui personale delle Squadre Mobili di Palermo, Catania, Siracusa, Enna e Vibo Valentia; delle S.I.S.C.O. di Palermo, Catania e Messina; del Reparto Prevenzione Crimine “Sicilia Orientale”; del Reparto Cinofili della Questura di Vibo Valentia; dei Commissariati di P.S. della provincia di Messina. Alle ore 10.45, presso la Sala Riunioni della Caserma della Polizia di Stato “Nicola Calipari”, si terrà una conferenza stampa alla presenza del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, Antonio D'Amato, del Direttore del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine del Dipartimento della P.S., Vincenzo Nicolì, e del Questore di Messina, Annino Gargano.
(Adnkronos) - Il maltempo continua a imperversare sull'Italia. Temperature polari, con neve possibile anche a quote basse, e forti venti si concentrano nelle aree del Sud, costringendo alcuni Comuni a chiudere anche le scuole. L'unica Regione in cui l'allerta è arancione è la Calabria, mentre l'avviso della Protezione Civile è giallo per Campania, Basilicata, Molise e Sicilia. Maltempo e temperature in picchiata in Calabria, dove la neve ha imbiancato i rilievi della Sila e del Pollino. Il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, ha disposto con propria ordinanza la chiusura a scopo precauzionale di tutte le scuole di ogni ordine e grado presenti sul territorio comunale. Scuole chiuse anche a Cirò Marina, Isola Capo Rizzuto, Cotronei, San Mauro Marchesato, Verzino, Scandale, Cerenzia, Roccabernarda, Cutro, Petilia Policastro, Caccuri, nel Crotonese, e ad Acri, Guardia Piemontese, Paola, San Giovanni in Fiore, Santa Maria del Cedro, Scalea, in provincia di Cosenza. Scuole chiuse oggi a Caserta in Campania. Il sindaco Carlo Marino ha annunciato di aver "firmato un'ordinanza con la quale si stabilisce" la sospensione "di tutte le attività scolastiche e didattiche delle scuole cittadine pubbliche di ogni ordine e grado, inclusi gli asili nido comunali". Nella regione, allerta meteo per venti forti nord-orientali con raffiche e mare agitato, con possibili mareggiate. La Protezione civile regionale ha deciso di prorogare l'avviso, attualmente in vigore, almeno fino alle 18 di oggi sull'intero territorio. Per le nevicate anche oggi niente scuola a Potenza in Basilicata, ma ci sono stop alle lezioni anche in Sicilia, a Pachino e Portopalo nel siracusano, e in Puglia. Resteranno chiuse le scuole a causa della neve oggi in alcuni centri del Subappenino dauno, ma anche del Gargano, in provincia di Foggia. Neve nei comuni più alti della Puglia Celle San Vito, Faeto, Panni Monteleone di Puglia nei Monti Dauni: anche in questi piccoli centri è previsto lo stop delle lezioni. Ad Accadia, sempre nel foggiano, le scuole resteranno chiuse.
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L'Epifania, come si sa, ricorre il 6 gennaio. Ma, nel caso di Paolo Gentiloni, notoriamente soprannominato “er moviola”, pure l'Epifania è arrivata al rallentatore, con una settimana di ritardo, e cioè ieri, 13 gennaio. Ieri mattina infatti, in posizione nobile (in gergo si direbbe: una spalla alta e ben visibile), la prima pagina di Repubblica ha annunciato l'avvio della collaborazione dell'ex commissario Ue con il quotidiano del gruppo Ge di. Chi legge Libero sa già molto dal 28 dicembre scorso: come il nostro giornale ha scritto allora, è proprio il fantasma di Gentiloni a togliere il sonno a Elly Schlein, che vede nell'ex premier in quota Pd il più credibile avversario nella corsa alla premiership del centrosinistra nel 2027. Altro che Ernesto Maria Ruffini o altri animatori di cespugli centristi: quelli non danno alcun fastidio a Elly. Anzi: fosse per lei, vorrebbe perfino una lista dei dc di sinistra, un quarto cespuglio – appunto – da affiancare a grillini, rossoverdi e piueuropeisti. Ma quelli – i democristiani – non ci cascheranno: e realisticamente useranno convegni e influenza mediatica non per costruire una lista (che poi dovrebbe faticosamente andare a caccia di voti), ma solo per trattare più seggi sicuri dentro il listone del Pd. Si tratterà di accontentarli – fanno già i conti al Nazareno – con dieci posti sicuri alla Camera e cinque al Senato. E a quel punto il “disagio” cattodem, per magia, svanirà istantantaneamente. Il problema di Elly – invece – è proprio Gentiloni, che punta al bersaglio grosso, e cioè al ruolo di federatore e leader. La preferenza dell'ex Commissario Ue, naturalmente, sarebbe per il Quirinale: ma il 2029 è molto lontano, e poi è probabile che anche il Parlamento chiamato a quella scelta possa essere a forte maggioranza di centrodestra. E allora? E allora ecco la partenza di una sorta di campagna “Gentiloni 2027” come leader del centrosinistra. Lui – Paolo er moviola – si sente una sorta di “Draghi minore”, è titolare di una vasta rete internazionale (a Parigi lo adorano), è ascoltatissimo al Colle, e soprattutto è persuaso (su questo ha ragione) di non avere veti contro di sé: in parole povere, è convinto di portare in dote anche due intese distinte con Renzi e con Calenda, in aggiunta alle liste che già stanno nella coalizione di centrosinistra. Ovviamente, secondo antico costume, dalle parti di Gentiloni hanno calcolato tutto tranne il popolo: in tempi di turbopolitica mediatica, pare infatti davvero difficile che possa essere un profilo come quello di Gentiloni il più adatto a sfidare Giorgia Meloni in una gara di popolarità e di connessione con l'Italia reale. Ma l'ex commissario Ue punta su altre carte: la possibilità di allargare la coalizione alle componenti centriste e il fatto che la sua “leadership light” non troverebbe obiezioni forti. Quanto a Schlein, come abbiamo scritto il 28 dicembre, nello schema di Gentiloni dovrebbe rimanere segretaria del Pd: quindi continuerebbe a intestarsi la crescita del partito, ma senza guidare l'intera alleanza. E lui? Nell'esordio su Rep, per non scontentare nessuno a sinistra, ha scelto il solito schema: melina a centrocampo e tattica da zero a zero. Gran retorica sulla necessità di una “scossa europea”; citazioni lusinghiere di Mario Draghi e di Enrico Letta, sempre in chiave eurolirica; fervorino anti-Musk, pur senza citarlo esplicitamente, con elogio della mappazza regolatoria europea (il cosiddetto Digital services act) che in realtà conferma la nota e triste regola per cui, mentre l'America innova, Bruxelles sa solo immaginare gabbie normative antistoriche. Ma – diciamocelo – nessuno si aspettava chissà quali novità contenutistiche da Gentiloni, e meno che mai dal suo articolo d'esordio. Il messaggio era ed è solo uno, tutto politico e sintetizzabile in tre parole: «Io ci sono».
Mancano sei giorni all'insediamento di Donald Trump, il 47esimo presidente degli Stati Uniti, i mercati sono sempre un buon indicatore di quello che sta succedendo, che cosa segnalano? L'incertezza, nella giornata di ieri abbiamo visto il Nasdaq in rosso, il rendimento dei titoli di Stato americani decollare, il petrolio guadagnare. Tutti gli investitori stanno cercando di leggere una mappa del domani che ancora non c'è, ma mostra un orizzonte completamente ridisegnato. L'Europa sulla carta geografica appare stretta tra il dragone cinese e l'aquila americana, l'Italia prolungata nel Mediterraneo storicamente si legge come un dominio incastonato nella complessità, tra il Medio Oriente e l'Indo-Pacifico. Le mosse di Trump avranno un impatto sulla nostra vita, così come la reazione degli altri Stati, è ripartito lo scontro tra le grandi potenze. Ne avremo una prova nel discorso dell'Inauguration Day, ma alcune anticipazioni le abbiamo già squadernate: quando Donald Trump dice di voler annettere la Groenlandia e il Canale di Panama, sta puntando il cannocchiale dell'America su due passaggi marittimi, quello a Nord che apre l'Atlantico al Pacifico (in futuro potrebbe essere permanente e non più chiuso periodicamente dai ghiacci) è quello che rende possibile il passaggio da Est a Ovest nella grande via di comunicazione aperta proprio dagli americani. A questo bisogna aggiungere l'idea di annullare i confini del Canada per (ri)costruire un Grande Nord America. Se solleviamo lo sguardo, l'altro pezzo logico di questo risiko è l'isola d'Inghilterra, mentre sul Pacifico l'anello di congiunzione si allunga fino all'Australia e alla Nuova Zelanda. Fatti i conti, questa “America espansa” corrisponde esattamente ai “Five Eyes”, l'alleanza strategica dei “cinque occhi”, che riunisce la difesa e le agenzie di intelligence degli Stati che ho appena elencato. Trump non è un pazzo, come viene dipinto dai media che sembrano incapaci di cogliere i bagliori della storia, ha un disegno dettato dalla contemporaneità e dalla tradizione degli Stati Uniti. I suoi consiglieri hanno in mente un mondo iper-polarizzato, dove si ricompongono blocchi guidati da super potenze che si preparano a controllare le rispettive sfere d'influenza. Come sempre la letteratura anticipa gli scenari, Orwell tutto questo lo aveva pre-visto e reso materiale da romanzo in 1984, un mondo distopico diviso tra tre superpotenze. Continuiamo il nostro viaggio, osserviamo le mosse dell'Impero Celeste, la Cina, la tela di ragno di Pechino oggi avvolge la Russia di Vladimir Putin grazie al gasdotto “Forza della Siberia”, è la nuova mappa energetica mondiale, il matrimonio tra Mosca e Pechino naturalmente non è indissolubile (i mongoli furono gli unici a dominare sui russi e non hanno lasciato un buon ricordo), ma è un fatto strutturale che durerà decenni. Le rotte energetiche mondiali hanno bisogno del controllo del mare, la vera potenza è quella marittima, là navigano le petroliere e le gasiere americane, oggi sono queste le truppe dalle quali dipende l'Europa dopo aver chiuso il rubinetto del gas di Mosca. Quanto alla Groenlandia, il suo controllo corrisponde non solo a un'esigenza di trasporto e difesa, ma costituisce una futura riserva di materie prime, il carburante della tecnologia e dell'industria. Tra pochi giorni “America First” risuonerà a Capitol Hill e questo disegno strategico comincerà a emergere come il sommergibile del comandante Marko Ramius in “Caccia a Ottobre Rosso”. Dov'è l'Europa? È ferma, nel porto delle nebbie.
Il meteo cambia volto. Nelle prossime ore su diverse regioni arriverà il gelo con temperature che precipiteranno sotto lo zero. L'inverno adesso mostra il vero volto. E il colonnello Mario Giuliacci su meteogiuliacci.it ci spiega che cosa potrebbe accadere tra pochi giorni su buona parte del territorio nazionale: "Tra Giovedì 16 e Sabato 18 Gennaio l'arrivo di un ciclone dal Nord Africa porterà un'ondata di maltempo davvero severa, concentrandosi in modo particolare sul Meridione e nemmeno tutto. Adesso vi diciamo i dettagli. Nonostante il miglioramento delle condizioni meteo al Centro-Nord, le temperature minime continueranno a scendere ben al di sotto dello zero durante le ore notturne. Le aree più colpite saranno la Pianura Padana e le vallate interne degli Appennini, dove il cielo sereno favorirà un notevole raffreddamento radiativo. In queste zone si prevedono gelate estese, con valori termici che potrebbero raggiungere anche i -5°C o -6°C nelle località più fredde. Attenzione poi alle precipitazioni che incombono: "Sicilia di Levante, Calabria Ionica, Basilicata e Sardegna saranno colpite da piogge eccezionalmente abbondanti, con temporali violenti che potrebbero provocare accumuli straordinari. Si stima che in sole 72 ore potrebbero cadere tra i 300 e i 500 mm di pioggia (a seconda del modello LAM in esame), un quantitativo esorbitante, che normalmente si registra in un arco temporale di sei mesi". Insomma il quadro è in continua evoluzione ma è chiaro ormai lo scenario di un peggioramento imminente.
Ad Affari Tuoi è la serata di Andrea, il concorrente della Valle d'Aosta. Nella puntata andata in onda lunedì 13 gennaio, Stefano De Martino si trova davanti un ragazzo umile che sa pacco dopo pacco come mettere in difficoltà il dottore. Infatti il concorrente della Valle d'Aosta ha resistito fino alla fine alle sirene del dottore rifiutando diverse offerte, anche generose. Ma di fatto i pacchi blu sono volati via presto portandosi poi dietro in modo inevitabile quelli rossi. Quando in gioco sono rimasti solo due pacchi blu e quello rosso da 300.000 euro, Andrea vacilla e così, proprio all'ultimissimo tiro decide di accettare l'offerta del dottore portandosi a casa una cifra considerevole: 30.000 euro. A questo punto tutto torna: Andrea apre il suo pacco e si trova tra le mani un blu. E sui social in tanti, soprattutto su X, hanno sottolineato la bravura di Andrea ma soprattutto la sua umiltà e la capacità di creare un feeling particolare non solo con Stefano De Martino, ma con tutti gli altri pacchisti. E questa bella serata ha avuto solo un piccolo momento di gelo, proprio in avvio di serata quando Stefano De Martino ha scherzato sulla professione di Andrea, contadino: "Questa sera sei venuto qui vestito di viola, mi sembri una delle tue melanzane". Sorriso a denti stretti di Andrea. Ma va detto che il look non era certo dei migliori...
A Lo Stato delle Cose, il talk show di Rai Tre condotto da Massimo Giletti, va in onda uno scontro duro tra Alessandra Moretti, Ilaria Cucchi e Francesco Storace. Al centro del dibattito nella puntata andata in onda lunedì 13 gennaio c'è la morte di Ramy Elgaml. La parlamentare di Avs, Ilaria Cucchi parla di depistaggio e condotta scorretta da parte dei carabinieri che hanno inseguito il motorino su cui viaggiava Ramy per le vie di Milano. Parole forti che vengono però criticate da Storace che ribatte: “In Parlamento è fermo il pacchetto Sicurezza che potrebbe dare più poteri alle forze dell'ordine per combattere la criminalità per colpa della sinistra. Una serie di misure che vengono tenute ferme in Aula per l'ostruzionismo della sinistra”. A questo punto la discussione si sposta anche su quanto accaduto a Roma e Bologna dove alcuni manifestanti dei centri sociali hanno messo a ferro e fuoco mia città attaccando gli agenti, il tutto nel nome di Ramy. Ed è qui che Storace sottolinea l'inerzia della sinistra: “Serve urgentemente l'approvazione del pacchetto Sicurezza, non possiamo lasciare che questi antagonisti si scaglino contro le forze dell'ordine”. E la Moretti in collegamento ribatte citando la morte di un poliziotto negli anni Settanta rimasto ucciso durante una manifestazione di destra. Un paragone e soprattutto un accostamento di fatti che nulla a che vedere con quanto accaduto lo scorso weekend. E Storace fulmina cosi la dem: “Ma cosa c'entrano i fatti degli anni Settanta con ciò di cui stiamo parlando qui? Mi sembra assurdo questo paragone”. La Moretti non desiste: “Non l'avrei mai voluto dire, ma è così. Questa non è strumentalizzazione come fa oggi la destra?”. Insomma il dibattito si è acceso in pochi minuti, poi Giletti ha cercato di riportare la calma in studio. Ma di fatto la tesi della sinistra fa acqua da tutte le parti.
Il tempo della consapevolezza arriva sempre la mattina dopo, quando ci si sveglia con la sbornia o con la sete o con un ospite. O con dei bastoni in testa che promettono capelli da sirena, senza bisogno del calore della piastra. «I bigodini non mi avevano fatto chiudere occhio – ha raccontato l'influencer dell'Ohio Diana Wiebe –. I miei capelli poi sono già mossi, era veramente troppo». Dopo aver riempito cassetti di creme e scrub per il viso, e soprattutto dopo aver letto il conto della carta di credito, Wiebe è diventata un'influencer, ma dalla parte delle cuciture: su Tik Tok, con il nome @depressiondotgov, cerca di de-influenzare i suoi 200mila follower. Insegna a non cadere nelle trappole dei codici sconto, a chiedersi se davvero hanno bisogno di una tazza in più, a inventarsi nuovi abbinamenti con i vestiti nell'armadio. Insomma, a risparmiare. I social sono subdoli, ha spiegato: «Non è come guardare la tv, dove la pubblicità è facile da riconoscere. Gli influencer sembrano dare i consigli di un amico perché li percepiamo come persone che conosciamo». Povera cara: davvero se un tizio da uno schermo ti offre un tostapane con tanto di sconto personalizzato, sembra che lo stia suggerendo per il tuo bene? Wiebe non è la sola cui si è accesa la lampadina: la tendenza è nata alla fine della pandemia (culmine degli acquisti online) ed è in crescita dal 2023. L'hashtag #deinfluencing ha accumulato oltre un miliardo e mezzo di visualizzazioni. Sull'orlo del baratro era Christina Mychaskiw, canadese, 114mila follower su Instagram: «Nel 2019 avevo un debito di 120mila dollari per prestiti studenteschi. Eppure, settimana dopo settimana, continuavo a fare acquisti. Ho toccato il fondo quando ho comprato un paio di stivali che costavano più del mio affitto», ha raccontato. Così ha smesso di guardare i video in cui la gente butta oggetti a vanvera nel carrello del supermercato, mostra gli acquisti fatti (quasi sempre regali delle aziende) spacchettando scatoloni, indossa indumenti appena arrivati. Malata di shopping compulsivo, Mychaskiw ha abbracciato il minimalismo e ora, dichiara, ha una vita appagante anche senza comprare la prima vaccata che le viene propinata. Il suo consiglio? «Spegni il telefono. Scorrere costantemente contenuti ti rende più propenso a cedere ai messaggi subliminali», è la lezione. «Metti giù il telefono. Ti renderai conto che quello che hai è già abbastanza». Solo che poi non guarderemmo più neanche lei, e allora come li ripaga i debiti? Altri consigli arrivano da Lucinda Graham, stilista e de-influencer (combinazione schizofrenica): «È come in cucina – ha spiegato alla Bbc –, i piatti che si preparano velocemente non possono competere con quelli che sono stati preparati e cotti per ore, con cura e fatica». Insalatona vs gulash. Così un guardaroba: bisogna scegliere i pezzi con oculatezza, avere la pazienza di sviluppare il proprio gusto, acquistare ciò che piace al di là della moda. Occhio, ha detto, perché quando compriamo ciò che dicono gli influencer stiamo copiando il loro stile. Nientemeno. Se non fosse che è proprio ciò su cui ha sempre puntato la moda: sentirsi Twiggy quando si comprava una minigonna. C'è poi chi fa proselitismo puntando sulla sostenibilità: gli imballaggi di plastica, le scatole, le spedizioni, le emissioni di gas serra, l'inquinamento delle acque, i lavoratori sfruttati. Aja Barber, attivista e autrice del libro “CONSUMED: On colonialism, climate change, consumerism & the need for collective change” (ovvero: colonialismo, cambiamento climatico, consumismo e la necessità di un cambiamento collettivo, tutto insieme, sì, in 286 pagine) da anni parla dei danni della fast fashion, le grandi catene che producono indumenti a prezzi stracciati e le cui collezioni cambiano come l'umore degli adolescenti. È convinta che ancora non abbiamo raggiunto il picco dell'influenza da social: intanto più di 100 miliardi di capi di abbigliamento vengono prodotti ogni anno, la metà dei quali finisce in discarica entro 12 mesi. Intanto, le dimensioni del mercato globale dell'influencer marketing sono più che triplicate dal 2019: nel 2024, si stima che abbia raggiunto i 24 miliardi di dollari. Insomma, che i prodotti pubblicizzati sui social non funzionino, che siano di scarsa qualità, che riducano sul lastrico, che facciano male al pianeta, ai de-influencer, per funzionare, non basterà ammaestrare qualche follower. Pure loro, d'altronde, sono un cascame dell'influencer marketing e fanno parte di quel capitalismo dell'attenzione in cui tutti siamo invischiati: qualunque cosa – sia essa un rossetto o una lezione di vita – pur di non passare un secondo con i nostri pensieri. Era poi quello che diceva Pascal quando scriveva che l'infelicità degli uomini nasce da una causa soltanto, che non sanno starsene soli, in una stanza.
A TennisMania, programma di OASport in onda su YouTube e condotto da Dario Puppo, si è parlato di Jannik Sinner e della sentenza del TAS di Losanna, prevista tra mercoledì 16 e giovedì 17 aprile, con gli ospiti Guido Monaco e Massimiliano Ambesi. Quest'ultimo ha fatto il punto della situazione: "A questo punto lui è sicuro di disputare i 1000 statunitensi ed eventualmente Montecarlo. È comunque un tema delicato… C'era una via per anticipare i tempi che poteva essere richiesta dallo staff legale del giocatore, ma praticamente agli albori di questa vicenda, e si è preferito seguire l'iter abituale. La questione è stata quindi rimessa al CAS e ai suoi tempi. Poi sì, possiamo disquisire a lungo riguardo le tempistiche e nel mezzo ci sono state le festività che rappresentano una complicazione, e si è arrivati ad aprile. Io pensavo onestamente tra fine febbraio e inizio marzo, poi in realtà l'udienza è slittata di 4-5 settimane. Il CAS comunque non è a uso e consumo dello sport tennis. Ci sono casi di ogni tipologia, anche piuttosto controversi”. Si parla, poi, del caso Palomino, difensore oggi al Cagliari e risultato positivo quando era all'Atalanta: “Il giudice scelto dallo staff di Sinner – spiega il giornalista di Eurosport - è un teorico della non responsabilità, un convinto assertore, e infatti la sua mano nel caso Palomino ed in altri casi si vede. Il giudice scelto da WADA rappresenta l'esatto opposto, ma cerchiamo di spiegarci. L'arbitro è imparziale di natura, poi può avere una predisposizione in un senso o nell'altro… Sicuramente l'arbitro scelto da WADA è abbastanza propenso a dichiarare sempre la responsabilità dell'atleta in qualsiasi caso, quello scelto da Sinner ha una posizione decisamente opposta. Il fatto di aver nominato come presidente del collegio arbitrale un ex tennista, seppur non di altissimo profilo, quindi comunque in grado di conoscere determinate dinamiche e soprattutto un mite ed un equilibrato, potrebbe far pendere l'ago della bilancia anche dalla parte di Sinner. Se il materiale è quello che abbiamo potuto valutare in questi mesi, io onestamente penso si vada verso una non responsabilità dell'atleta, quindi nessuna colpa e nessuna negligenza. Poi se ci fosse qualcosa di nuovo, che sfugge alla nostra comprensione, io non so cosa dire, però oggettivamente non cambio idea. Quanto ci vorrà per il verdetto? Dipende, magari anche 48 ore. Secondo me sarà una cosa breve. Nel mentre il giocatore potrebbe anche continuare a giocare finché non arriveranno le motivazioni, ma questo è un altro discorso. Mi sento abbastanza tranquillo”. Sinner rischia una squalifica maggiore o minore di 12 mesi? Ambesi: “La normativa vigente, per quella sostanza in un caso come quello di Sinner, prevede una pena da un anno a due anni. Io ho sempre messo in discussione la classificazione della sostanza Clostebol, che per me non può essere ritenuta una sostanza non specificata, perché allora andiamo proprio a cambiare la normativa affinché possa essere considerata tale. Se uno legge con attenzione le norme esplicative a corredo della normativa vigente, è chiaro che una sostanza come il Clostebol non può essere ritenuta non specificata. Ok, mi sta bene, ormone, tutto quello che si voglia, ma comunque resta qualcosa che compri in farmacia e che utilizzi per curare dei tagli, abrasioni e cose di questo tipo, quindi è un medicinale alla portata di chiunque… Adesso, è difficile che il TAS possa equiparare il Clostebol ad un'altra sostanza specificata e quindi dare un mese o una roba di questo tipo, perché si andrebbe oltre le competenze dei tre arbitri… Sulla carta è un anno, poi vedremo quello che succederà, anche perché volendo la WADA, in caso di pena di tre mesi, potrebbe anche rivolgersi all'ultimo grado di giudizio, ma bisognerebbe valutare bene la situazione e non succederà mai, ecco”.
«Pazzesco quello che sta succedendo». Torino, Milano, Busto Arsizio, Brescia, Bologna, Roma. La mappa delle agitazioni provocate dal “caso Ramy” è in continuo aggiornamento. Così come la contabilità degli operatori delle Forze dell'ordine feriti sul campo, per fronteggiare le manifestazioni “spontanee” organizzate nel nome del 19enne egiziano morto a Milano lo scorso 24 novembre. «Il clima si sta facendo sempre più pesante. Di grande tensione», ammette uno dei poliziotti che sabato sera, nella Capitale, ha dovuto vedersela con gli oltre 300 appartenenti all'area antagonista che hanno scatenato il caos in piazza dei Sanniti, nel quartiere romano di San Lorenzo, zona est della città. Otto suoi colleghi sono rimasti feriti: sette della questura, uno del commissariato di zona. Dieci, invece, gli operatori della sicurezza colpiti a Bologna. Il timore, condiviso da Viminale e questure delle città interessate dai disordini, è che ormai ci si trovi di fronte a un'escalation. Con un obiettivo preciso: alzare il livello dello scontro fino al punto di non ritorno. «Puntano a fare male, a farci scappare il morto», dice senza mezzi termini Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di polizia Coisp, per il quale «non possiamo più limitarci a parlare di scontri». DISEGNO EVERSIVO I segnali delle ultime “manifestazioni” sono inquietanti proprio perché concordanti: tutte le proteste si sono svolte la sera, suppergiù nello stesso momento, tutte non erano state autorizzate né preavvisate. E più manifestazioni nello stesso momento significano una cosa sola: che sono coordinate per impedire il concentramento degli operatori della sicurezza e favorire, così, i disordini. Una ricostruzione confermata in serata dallo stesso ministero dell'Interno, secondo cui siamo in presenza di una «chiara strategia» che punta a destabilizzare e a creare incidenti. «L'onda partita da Corvetto è mutata di intensità», osserva ancora Pianese. «Tutto fa capire che ormai si è creata una saldatura che dimostra l'esistenza di un disegno eversivo». Dai “teatri operativi” arrivano altri segnali: le transenne e i cartelli stradali usati come ariete contro gli agenti, ma soprattutto le bombe carta. «Nelle ultime tre manifestazioni, a Milano, Bologna e Roma, erano ad alto potenziale. Due di queste hanno ferito gli operatori: a Bologna ha spezzato in due uno scudo in plexiglass, provocando un ematoma al torace al nostro collega, a Roma è scoppiata a poca distanza dalla testa. Solo per un miracolo non ha subìto danni ancora più gravi». E ancora: «Un altro collega ha riportato la frattura del polso sinistro, un altro la frattura della spalla destra, un terzo ha perso un dente dopo essere stato colpito al volto con un tavolino lanciato dai manifestanti». Insomma, «c'è la volontà di cercare la tragedia». Quanto accaduto a Roma porta con sé altre considerazioni che in queste ore circolano tra le Forze dell'ordine. Sabato sera è stata necessaria una caricadi contenimento per proteggere gli uomini della questura e del reparto mobile impegnati a San Lorenzo. Un'azione necessaria, ma di impatto, che non a caso ha suscitato qualche polemica politica. «Il timore è che possano spingerci ad assumere iniziative sempre più forti, dalle quali potrebbe scapparci se non il morto, sicuramente il ferito. Ma come possiamo agire per mantenere l'ordine pubblico con il pensiero delle possibili conseguenze? Il clima è questo», confessa uno degli uomini in servizio durante il sabato nero della Capitale. Il ragionamento è questo: «Malgrado la vicinanza del governo, sappiamo bene come andrebbe a finire in questi casi. Ripartirebbe il coro sui numeri identificativi da apporre sui caschi e ci sarebbero le inchieste giudiziarie sugli eccessi di legittima difesa. Nonostante le violenze, saremmo noi ad essere messi alla gogna. Ecco perché siamo in difficoltà...». SOLO UN PRETESTO La certezza, al momento, è una sola: non finirà qui. D'ora in avanti ogni pretesto sarà buono per tornare in piazza. «La realtà è solo una: a questi delinquenti non interessa nulla di Ramy, così come non interessava nulla della Palestina e altro. A questi criminali interessa cavalcare la situazione di turno per seminare violenza», osserva Fabio Conestà, segretario generale del Movimento sindacale del Mosap. «Il questore ha ordinato la carica per tutelare l'incolumità dei poliziotti attaccati con ordigni e oggetti contundenti. Il nostro sbarramento ha tenuto fino a quando non era gravemente in pericolo l'incolumità degli operanti e il numero di feriti lo testimonia. Basta strumentalizzare tragedie per creare scompiglio, chi fa questo deve essere arrestato e scontare la pena in carcere. Non ci sono altre alternative».
Un po' The big bang theory, un po' Doctor Who (un po' pure Il curioso caso di Benjamin Button ché c'entra, eccome se c'entra): ma soprattutto un po' quella fantascienza di cui, in realtà, ci interessa per lo più l'ultima parte, ossia la scienza. Nella fattispecie: la fisica quantistica. Ché sì, è vero, in un certo senso, a metterla in termini accademici, si sminuisce il fascino del mistero, però d'altra parte si aumenta quello del possibile: e se i viaggi nel tempo si potessero davvero fare? Se bastasse una cabina, un “Tardis”, per ritrovarsi di colpo nel 1940 o nel 1870 o, perché no, anche nel 2030? Niente di tutto questo. Almeno non al momento. Semmai stiamo parlando più di un via libera sulla carta. Una soluzione teorica, quella sì: e forse, per rimanere nell'alveo della storia della cinematografia, ci si potrebbe rifare a in quegli iconici sedici secondi di Frederik-Gene Wilder in Frankenstein Junior: «Si può fare». Concettualmente, ipoteticamente, il balzo in epoche differenti «si può fare». Meglio ancora: è fattibile, ma solo nel campo delle possibilità. Poi, vai a vedere (e comunque son dettagli, non è che bisogna sempre star lì a sottilizzare: va bene anche un pizzico di sacrosanta fantasia). Prima, tuttavia, i passaggi scientifici. Perché la questione è oggetto di studio (anche di discussioni infinite tra nerd appassionati) e di uno studio serissimo. I manuali di fisica lo chiamano “il paradosso del nonno” e, in parole terra terra, è questo: se una persona viaggiasse nel tempo a ritroso e tornasse nel passato, e in questo passato uccidesse un suo antenato, allora non potrebbe essere nato e, di conseguenza, non potrebbe nemmeno intraprendere questo viaggio nel passato, però allora lascerebbe libero il suo (poniamo) bisnonno di completare la vita che gli spetta facendo in modo che la sua esistenza sia al sicuro. È un cortocircuito (per lo più mentale) dal quale non si riesce a uscirne. O quasi. Ci è riuscita l'intuizione brillante di un giovane fisico italiano, Lorenzo Gavassino. Gavassino è uno di quei ricercatori che lavora all'estero, alla Vanderbilt university di Nashville, in Tennessee (Usa), ed è anche uno che i libri di Carlo Rovelli se li è letti tutti. Ha trovato un modo, Gavassino, per superare il “paradosso del nonno” mettendo insieme la teoria della relatività generale con la meccanica quantistica e con le leggi della termodinamica che abbiamo studiato tutti al liceo (però poi noi comuni mortali le abbiamo dimenticate). Il risultato è una pubblicazione sulla rivista Classical and quantum gravity: che mica importa in quale dimensione ti trovi, sempre prestigiosa rimane. L'idea di Gavassino è questa: il “paradosso del nonno” esiste perché diamo per scontato che le leggi della termodinamica funzionino sempre nello stesso modo e nel modo in cui siamo abituati a constatarle noi, ma se ci trovassimo in prossimità di un buco nero dove la curvatura del tempo e dello spazio stravolge ogni cosa, non potrebbero essere stravolte anche loro? Non potrebbero, cioè, esserci delle fluttuazioni quantistiche sufficienti a cancellare l'entropia (ossia il disordine di cui siamo circondati) e incidere sui processi di invecchiamento ribaltandoli (eccolo qui, Brad Pitt che invecchia all'incontrario), sui ricordi (che potrebbero svanire) e su eventi irreversibili e temporanei (come, appunto, l'uccisione di un avo; anche se, semmai, la vera domanda a questo punto è un'altra: perché mai, tra tutte le cose che si potrebbero fare nel passato, scoprire chi ha ucciso Kennedy e come finiranno le partite di domenica prossima per giocare alla schedina, uno dovrebbe macchiarsi le mani ammazzando qualcuno a caso del proprio albero genealogico?). In sostanza, tornando a noi, a queste condizioni, siamo sicuri sicuri che il famoso “loop temporale” dei telefilm non esista vero, verissimo, veramente? Fine dello sguardo stupito e chiusura della bocca aperta perché, sì, d'accordo, la teoria di Gavassino “funziona”, epperò no, non è ancora dimostrata e, men che meno, testata. Per i viaggi nel tempo, siamo onesti, serve tempo. Forse un giorno l'umanità ci arriverà, ma quel giorno non è oggi. Tanto per cominciare perché un conto è l'idea e un altro è la sua attuazione (vale sempre, vale in ogni ambito, vale pure qui), poi perché non è nemmeno certo, al momento, che nell'universo reale 'sti benedetti “loop temporali” esistano sul serio. Detto ciò, che sia materiale per un lungometraggio alla portata di chiunque (compreso chi scrive) o destinato a un simposio per studenti cervelloni delle Stem (decisamente inaccessibile a chi scrive), resta il fatto che la soluzione trovata da Gavassino è affascinante e avvincente e lascia aperta la strada a un sogno che ci accomuna praticamente tutti. Si sa mai, in un futuro che (magari) riusciremo a visitare...
Promosso senza indugi. Anzi, l'appello è questo, voi di destra o di sinistra guardatevi questo meraviglioso esempio di cinema per la tv. Pierluigi Battista ha molto apprezzato le prime due puntate di M. e vi posso assicurare che le successive non sono da meno e comunque mi diffida dallo spoilerare alcunché. Ne abbiamo parlato partendo da un'opinione comune: persino meglio del libro, nello specifico il primo, pressoché bypassato e superato da otto ore di film visionario e potente. «Parafrasando Gertrude Stein, “un film è un film è un film”, diretto da Joe Wright, uno dei migliori registi di oggi, autore de L'ora più buia ed Espiazione tratto dal romanzo di Ian McEwan. Parlarne come un documentario sarebbe assurdo, e rimando proprio al primo film citato, Churchill nel momento più difficile della sua storia politica quando stava per cambiare la linea non interventista, scende nella metropolitana di Londra per tastare il polso alla gente. Questa cosa probabilmente non è mai accaduta ma è assolutamente funzionale al racconto. Ecco, M. è un'opera d'arte, non un manifesto politico antifascista scritto per una trasmissione di Serena Bortone. Persino del romanzo di Scurati è sbagliata la lettura che si è diffusa da un certo punto, il volerne fare una bandiera, un allarme «ecco stanno tornando». La produzione ha scelto un regista internazionale apposta per non scivolare nel solito vizio, non uno dell'Arci, espressione dei centri sociali, di quel cinema italiano triste alla ricerca necessaria di qualcosa per cui indignarsi». Parliamo di cinema, infatti. Stupende le scenografie, la fotografia, il ritmo indiavolato della colonna sonora. Milano descritta come una bolgia, una città sporca e lurida che sembra la Londra di Dickens. «M. è un film che parte da fatti storici e antropologici, racconta e non spiega. Una Milano delle case di ringhiera, senti l'odore dei cavoli cucinati, povera, miserabile, dove tutto è scuro come in miniera. E in quell'ambiente ti domandi come ha fatto un improbabile uomo di provincia, preso in giro nei salotti, dirozzato da Margherita Sarfatti, come ha fatto in pochi anni a diventare il padrone d'Italia». Mi affascina in particolare l'estetica della violenza, le sequenze dei pestaggi ricordano Alex e i Drughi di “Arancia Meccanica”, il film di Stanley Kubrick. «Guarda, un minimo di riserva ce l'ho solo nella concessione allo splatter che mi rimanda invece al cinema di Tarantino. Però il ritmo è davvero furibondo, interessantissime le facce dei personaggi secondari di cui si individua subito il carattere, i miserabili, i pezzenti che diventano picchiatori, oppure quel Cesarino Rossi». Neppure il registro del grottesco, peraltro, inficia il risultato. «Sì, qualche volta Marinelli ricorda il Catenacci di Bracardi, però ci sono passaggi molto interessanti, ad esempio la soggezione, il complesso di inferiorità di M. nei confronti di D'Annunzio, colto, di successo, grande amatore, un mito che avrebbe potuto diventare lui il Duce e da cui M. prende a prestito persino dei modi di dire: Eia Eia Alalà è un grido di Fiume, non del fascismo». M. è avanguardia pura, il nuovo che spazza la vecchia politica, infiamma gli animi nel contesto incendiario del dopoguerra. «Lo specifico filmico, come direbbero gli intellettuali di sinistra, sta nell'immagine dell'establishment vecchio, che l'esperienza della guerra ha scaraventato nel passato, è vecchio Giolitti, il re- strano che nessuno abbia parlato di body-shaming, visto che è praticamente un nano- persino i socialisti sono uomini d'altri tempi, dell'800; al contrario l'elemento di giovanilismo teppistico, le bettole, il manganello, segnalano l'onnipresenza della violenza, legata conseguenza della I Guerra, quando morire era normale». Ma allora perché così tante critiche da destra? Forse preconcette rispetto al personaggio Scurati (non certo al primo romanzo) o alla sofferenza del povero Marinelli, lui così antifascista... «Pensa se questo problema ce lo avesse avuto Bruno Ganz quando faceva Hitler o l'ironico Massimo Popolizio alle prese anche lui con il Duce. Sai, in molti hanno pensato che la serie M. fosse un proclama alla Saviano sulla nascita di un nuovo fascismo e sull'attualità del messaggio politico. Ecco, le solite trincee difensive, oddio ci mettono in trappola, di nuovo al muro. Ma basta, gioca la partita, smettila con questo atteggiamento rancoroso, risentito, minoritario, per cui ogni 7 gennaio si commenta la commemorazione di Acca Larentia, ogni 25 aprile si fa la conta di chi c'è e chi non c'è, ogni 2 agosto si riparla di chi ha messo la bomba. M. è un film, ripeto non un manifesto politico, che racconta la vitalità animalesca contro l'establishment cadaverico, in quel lasso temporale del fascismo che Renzo De Felice distingueva tra movimento e regime». Alla fine M. è un monumento a Mussolini, quasi simpatizzi per lui, ti entra dentro come al povero Marinelli, ti mette all'angolo con la sua potenza espressiva. «Simpatizzi non la è parola giusta, diciamo che è una storia magnetica, su un personaggio mai banale, non è l'incarnazione del male ma di come abbia fatto a conquistare l'Italia quando ormai sembra perduto, spregiudicato, tutto e il contrario di tutto. Bisogna uscire dalla dicotomia fascismo/antifascismo, che non è proprio lo specifico del film». M. è maschera e noi siamo popolo di commedia, non di tragedia. Pensa alla voracità sessuale di M., che amava molto farsi fotografare a torso nudo come Picasso, simbolo del Partito Comunista. Persone che comandano e fottono. «Esattamente così, ecco perché il parametro non può essere ideologico, l'errore della sinistra e della destra sta nel volere attualizzare quella storia. Piuttosto allora perché sull'odierna persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non dicono neanche una parola? Lì l'antifa tace, preoccupato del ritorno del fascismo e non di ciò che gli accade attorno». Alla fine il problema infatti riguarda l'attualità politica. «Quando uscì il primo romanzo non c'era il governo Meloni, dunque non fece particolare rumore, lo stesso Scurati non parlò di attualità, al limite se la prese con la retorica dell'antipolitica del grillismo. Lo scalpore nasce quando va al governo la destra, già con Berlusconi era scattato l'allarme, “tutti insieme contro il pericolo fascista”. Ti ricordi il 25 aprile prima del 1994, era una manifestazione stanca, finita, e invece proprio in quell'anno, a Milano, sotto il diluvio, tutti i leader, c'era anche Umberto Bossi. Di colpo rivitalizzata quando sembrava dimenticata». Soprattutto una storia italiana. «Dopo la caduta del fascismo tutti dovevano farsi perdonare qualcosa, eppure l'icona del Duce ha sempre mantenuto la sua forza, pensa ai giornali popolari dall'immediato dopoguerra in poi, ai rotocalchi pieni delle storie della famiglia, il misterioso carteggio, l'oro di Dongo, un fenomeno italiano compreso piazzale Loreto, venerato e scempiato. Con M. non diventi più antifascista e neppure più fascista, rimani com'eri prima ma certo affascinato, magnetizzato, da questo smandrappato che dalla casa con il cesso in comune partì per guidare l'Italia».
Vi proponiamo "Tele...raccomando", la rubrica di Klaus Davi dedicata al piccolo schermo CHI SALE (Frozen Planet) Il “morning time” di Canale 5 da anni è leader d'ascolti grazie alle notevoli prestazioni dell'edizione delle 8 del Tg5 che spesso tocca il 25% di share per non parlare della portaerei Mattino Cinque News che venerdì ha superato il 23%. Una fascia sensibile per gli investitori pubblicitari che unisce target medio-alti a più popolari. Un mix che non impedisce al Biscione di sfruttare il traino settimanale per programmare o riprogrammare documentari o speciali di un certo spessore guardando anche a pubblici più impegnati. Sabato è toccato a Frozen Planet, serie documentaristica dedicata alle zone più fredde e inesplorate del pianeta. Chiara la consapevolezza che il tema del cambiamento climatico deve essere affrontato in modo non ideologico. La scelta funziona visto il quasi 12% di share medio con picchi del 15%. A coinvolgere particolarmente sono le immagini tecnologicamente avanzatissime girate con droni in volo ma anche terrestri, cam-trappole che colgono da vicino le reazioni degli animali e riprese notturne a infrarossi. Canale 5 tiene conto anche di una consistente platea più giovane e attenta a certi temi che va coinvolta con un percorso narrativo altamente emotivo. Ottimizzando il magazzino.
Gli Usa di Donald Trump vorrebbero riattivare la base sotterranea norvegese di Olavsvern per i sottomarini. Si tratta di una struttura strategica costruita durante la Guerra Fredda e collocata tra i mari della Norvegia e di Barents. Si trova, per la precisione, a Ramfjorden, a 20 chilometri a sud di Tromsø. Dietro la sua progettazione l'obiettivo di proteggere sottomarini e imbarcazioni di pattuglia veloci sotto un tetto di roccia di gabbro spesso 270 metri. Il complesso include una vasca di 340 metri per sottomarini, bacini di carenaggio, depositi di munizioni, officine e aree di comando. Dopo la Guerra Fredda, la base è stata dismessa e venduta a investitori privati nel 2013. Al momento, invece, viene utilizzata dai marines olandesi per le esercitazioni invernali annuali. In ogni caso, non c'è mai stata una riattivazione completa. L'ultimo sottomarino americano ha attraversato quel tunnel nel 2009. Oggi, però, le cose sarebbero diverse, stando a quanto riferito al sito TWZ da un funzionario della Marina degli Stati Uniti, che ha preferito rimanere anonimo. Quest'ultimo, in particolare, ha rivelato che gli Usa desiderano riprendere le operazioni presso la base. Anche se sono incerte le tempistiche per il ripristino completo della struttura. La base, tra l'altro, dovrebbe anche essere in grado di ospitare i moderni sottomarini nucleari. Mentre dovrebbe ancora esserci l'infrastruttura necessaria per ospitare il personale, immagazzinare forniture ed effettuare la manutenzione delle navi. Le intenzioni americane scaturirebbero dall'intensificazione delle attività militari russe nell'Artico. Nell'ultimo periodo, infatti, Mosca ha condotto esercitazioni nel Mar di Barents con sottomarini dotati di missili intercontinentali, aumentando le tensioni nella regione. Per le operazioni di ripristino della base di Olavsvern, però, il governo norvegese non avrebbe ancora concesso un'autorizzazione ufficiale.
Fra le tante eccellenze italiane, si può citare (ironizzando) anche l'autolesionismo verso noi stessi. Pure quando dovremmo essere orgogliosi tendiamo a denigrarci, come fa il regista Roberto Andò, nel suo L'abbaglio (sugli schermi dal 16 gennaio), lo sbarco dei Mille secondo lui, riproponendo la coppia Ficarra&Picone già vincente con La stranezza. Il suo concetto di autolesionismo risale al maggio 1860, quando i Mille fecero l'impresa di liberare la Sicilia, e si riassume nella frase finale del terzo coprotagonista, il colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo immutabile sorriso di pietra, dal quale non emerge mai quanto prevalga la sua noia nei confronti del pubblico). Incaricato di depistare i borbonici dalla marcia vincente del generale Garibaldi (Tommaso Ragno) verso Palermo, Orsini riesce nell'impresa, ma alla fine, Andò ce lo fa ritrovare in una bisca clandestina, gli lascia l'onore dell'ultima parola, che sarà «Povera Italia!», nel senso che nulla è cambiato rispetto a prima. Insomma una conclusione autolesionista da “Gattopardo dei poveri”, ridateci il triangolo Tommasi di Lampedusa, LuchinoVisconti e Alain Delon. È vero, arrivava ogni tipo strano, al presidio garibaldino di arruolamento dei Mille (a distribuire le camicie rosse c'è un tenentino, interpretato da Leonardo Maltese (ex deprimente Giacomo Leopardi in tv) aspirano all'ingaggio ragazzini incredibilmente dotati di senso patriottico, e sfigati come Domenico-Ficarra, claudicante perché vittima del lavoro minorile, specializzato in fuochi d'artificio, che vorrebbe ritrovare la donna amata, e Rosario-Picone, fuggito dal Nord dove era emigrato millantando inesistenti ascendenti nobiliari, in realtà facendo il baro di professione, inseguito dai truffati. È bella e struggente la scena notturna dei barchini, che a Quarto (poi dei Mille) affollano il porto di Genova diretti alle due navi in attesa. Ma con la sbarco a Marsala subito tutto diventa miserevole, Domenico e Rosario fuggono dal rombo delle cannonate borboniche, stremati dalla fame tentano invano di rubare un agnellino, approdano a un convento dove incontrano i favori della badessa appassionata del gioco. Di nuovo in fuga, sono intercettati da Orsini, si salvano dalla fucilazione come disertori perché in guerra fanno comodo anche i disgraziati... Nonostante tutto, «qui si fa l'Italia osi muore», disse il generale a Calatafimi. E non fu un abbaglio, perché avvilirci? Ha citato il motto di Garibaldi anche la premier, giorni fa: per agire bisogna credere, a partire dagli ideali.
Da Trump che rivendica in modo chiassoso Canada, Groenlandia e Canale di Panama a Maduro che minaccia di prendersi un pezzo della Guyana passando per la Cina che continua a pressare Taiwan, i movimenti della Wagner in Africa, il presidente cileno Gabriel Boric che il 3 gennaio è stato il primo leader latino-americano ed il terzo in assoluto dopo i primi ministri neo-zelandese e norvegese ad arrivare al Polo Sud, il presidente argentino Javier Milei che annuncia una triplice sfida energetica di shale-nucleare-idrogeno e la stessa guerra in Ucraina, è sempre più intensa l'agitazione mondiale. Sta girando sui Social il meme secondo cui Trump avrebbe pescato una carta del Risiko in cui su fissava come obiettivo al giocatore «conquista la Groenlandia, Panama e un terzo Paese a scelta». Battute a parte, in effetti il tutto può assomigliare a una colossale partita di Risiko dovuta a un momento di passaggio. Un po' come la Disfida di Barletta che rinnovò l'epopea cavalleresca in un'epoca in cui già le guerre si facevano con cannoni e archibugi o quella Grande Guerra in cui alle ultime cariche di cavalleria e gli assalti alla baionetta si affiancarono e sovrapposero aerei, sottomarini, carri armati, mitragliatrici e gas. Oggi la grande emergenza del riscaldamento globale significa tre cose. La prima, è la ricerca di nuove tecnologie soprattutto ma non solo energetiche che però si affiancano ad altre tecnologie energetiche che ancora restano, in particolare petrolio e gas nella nuova forma dello shale; o ad altre che vengono riscoperte, con per esempio è accadutot lo scorso settembre con l'annuncio americano di voler mettere in funzione l'impianto di Three Mile Island, secondo una tendenza che vede sempre più le Big Tech puntare sul nucleare come fonte di energia affidabile e a emissioni zero, utile a supportare i loro data center in espansione e le loro attività sempre più intense. NUOVE TERRE E MARI La seconda, è che lo scongelamento delle aree polari permette di includere anch'esse tra i territori dove cercare nuove risorse. La terza, riguarda ancora lo scongelamento poiché esso di fatto libera nuove rotte di valore strategico. Trump è stato eletto anche per la sua promessa di appoggiare shale e trivellazioni, e appunto il boom petrolifero argentino di Vaca Muerta si basa sullo shale. Ma visi trova anche petrolio tradizionale. Dal 2019 in Guyana è iniziato un boom che ha portato a tassi di crescita del Pil mostruosi: +43,5% nel 2020, 37,2 nel 2023, 45,3 nel 2024. Per questo l'anno scorso lo Stato ha versato 370 dollari derivanti da entrate petrolifere a ogni cittadino, e anche il Suriname pensa ora di fare lo stesso. Petrolio e gas stanno venendo allo scoperto sia in Paesi che già lo hanno, come Arabia Saudita, Kuwait, Norvegia, Brasile, Bolivia, Bahrein; sia in Paesi dove ce ne era stato tanto in passato ma si riteneva ormai esaurito come la Romania; sia in nuovi produttori come Egitto, Namibia, Israele, Libano, Turchia, Vietnam, Costa d'Avorio. Ma lo scioglimento dell'Artico potrebbe aumentare anche le risorse di Canada e Russia. Attualmente ai primi posti nel petrolio sono Usa, Arabia Saudita, Russia, Canada, Cina, Iraq, Iran, Emirati Arabi Uniti, Brasile, Kuwait, Norvegia e Messico. Per il gas: Usa, Russia, Iran, Cina, Canada, Australia, Arabia Saudita, Norvegia e Algeria. Ma le prime riserve di petrolio le avrebbe il Venezuela: solo ventesimo come produzione per colpa soprattutto della cattiva gestione da parte del regime chavista, ma anche per le sanzioni che si è procurato. Appunto per recuperare un potenziale partner economico, gli Usa hanno provato a alleviare le sanzioni in cambio di un dialogo con le opposizioni, un tema su cui però Maduro si è rivelato inaffidabile. Il ritorno al nucleare significa poi uranio. E qua dopo il Kazakistan il secondo produttore è il Canada, 51° Stato dell'Unione come Trump sogna. E settimo in classifica è il Niger, dove un golpe filo-russo ha fatto fuori il governo eletto filo-francese. Auto elettriche, solare e eolico significano poi materie prime come il litio e le terre rare. Il primo, metallo indispensabile per le batterie a rapida ricarica, ha il suo primo produttore in Australia, ma la Cina è terza, e negli scorsi anni si è spesso parlato di un triangolo del litio Cile-Argentina-Bolivia. Se però il Cile è effettivamente il secondo estrattore e l'Argentina è il quarto, in Bolivia questa industria non è mai decollata, per problemi politici anche qui collegati a un tipo di governo populista e inefficiente. Però russi e cinesi stanno cercando di mettere le mani su La Paz. In compenso è decollato il Brasile, ora quinto. E ci sarebbe un potenziale anche in Canada - ancora il Canada! MONOPOLIO CINESE Il problema delle terre rare è che si è lasciato che la Cina ne acquisisse un quasi monopolio, col 68,75% della produzione mondiale nel 2023. Pechino ha minacciato più volte di sospenderne l'export, anche in risposta alle minacce Usa di bloccare l'arrivo di microchips, vitali per le nuove tecnologie. E non solo per impedire di alimentarci la macchina bellica russa. Circa la metà di tutti i microchip in circolazione, e l'80-90% di quelli più sofisticati e importanti, è prodotta infatti a Taiwan. Ma questo primato cinese si è comunque già ridotto drasticamente rispetto al 97% del 2010; di terre rare se ne sono trovate tra Usa, Myanmar, Australia e Thailandia, e dovrebbero entrare in produzione nuovi grandi giacimenti tra Norvegia e Svezia. Ma sono molto promettenti appunto anche Canada e Groenlandia, oltre che il Donbass. Ma in Groenlandia ci sono anche altre cose. Jeff Bezos, Bill Gates e Michael Bloomberg si sono infatti imbarcati in un progetto da 15 milioni di dollari per cercare nell'isola rame, nichel, cobalto e altri minerali utili alle batterie per auto elettriche, e nell'aprile 2023 le elezioni anticipate che hanno visto la vittoria del partito indipendentista sono state imperniate sul monte Kuannersit, dove ci sarebbe il secondo più grande giacimento di metalli rari e la quinta più grande riserva di uranio. Il partito socialdemocratico al potere in Danimarca prima lo aveva dato a una società australiana posseduta dal governo cinese, cui i vincitori delle elezioni hanno posto il veto, per motivi ambientali. VIA DELLA SETA E poi c'è la nuova rotta artica di Russia e Cina. A partire da quel primo atto strategico del Cremlino dopo l'aggressione all'Ucraina, che fu nel luglio 2022 la pubblicazione di un documento di un centinaio di pagine che pone come quarto dei 21 punti lo «sviluppo di una rotta marittima nordica, in modo da stabilirla come rotta nazionale sicura tutto l'anno e competitiva per la Federazione russa a livello globale». Motivo per cui Mosca ha militarizzato tutto il tratto di mare tra lo Stretto di Bering e la Norvegia, e sembra riluttante a prendere misure contro un riscaldamento globale che la favorirebbe. E anche la Cina sarebbe interessata a una nuova rotta che da Shenzhen a Amburgo ridurrebbe il viaggio da 34 a 23 giorni. La Cina starebbe approfittando della necessità di Mosca di avere aiuti nella guerra in Ucraina per farsi dare diritto di passaggio in questa “Via della seta polare”. Motivo per cui negli Usa cresce il bisogno di presidiare l'Artico.
MONZA (ITALPRESS) – Ritrova la vittoria dopo due mesi e mezzo il Monza di Salvatore Bocchetti, che batte per 2-1 la Fiorentina regalando la prima gioia casalinga ai propri tifosi. Decisive per i biancorossi le reti di Ciurria e Maldini, vana quella su rigore di Beltran. Parte forte la Fiorentina, con Gudmundsson che sugli sviluppi di un corner si ritrova libero di colpire in area ma non è preciso nell'indirizzare il pallone che termina così alto. Occasione per la Viola, che al 17′ si vede assegnare un calcio di rigore per il presunto fallo di Pablo Marì su Sottil, con l'arbitro Dionisi che prima comanda il penalty, salvo poi essere richiamato al Var e annullare la sua decisione. Prova a rispondere il Monza, con Bondo che dalla trequarti lascia partire una conclusione potente che termina poco distante dal palo alla destra di De Gea. Portiere spagnolo che non potrà nulla però al 44′, sul pallone perso da Gudmundsson che dà il via alla transizione del Monza conclusa dal mancino di prima di Ciurria, che spedisce il pallone nell'angolino e porta avanti i suoi. Duro colpo per la Fiorentina, che in avvio di ripresa andrà vicina al pari sulla mischia in area a favorire il tap-in del neo entrato Beltran, con Carboni che però salva in maniera decisiva sulla linea. Monza che però resta in partita e al 63′ trova infatti il gol del raddoppio: libero sulla destra Pedro Pereira, che si coordina per crossare in area dove c'è Maldini, bravo ad anticipare Adli e trovare il piatto che batte ancora De Gea. Gara che sembra così in discesa per i brianzoli, ma è al 73′ che i toscani trovano l'episodio per accorciare le distanze, sul contatto tra Carboni e Beltran che per Dionisi vale il rigore poi trasformato dallo stesso argentino. Finale di gara teso allo U-Power Stadium, con il forcing della Fiorentina che non si concretizza nel pari tanto inseguito dagli uomini di Palladino, che mancano così il sorpasso alla Juventus e confermano un momento no fatto di un solo punto nelle ultime cinque gare. – foto Image – (ITALPRESS).
Ritrova la vittoria dopo due mesi e mezzo il Monza di Salvatore Bocchetti, che batte per 2-1 la Fiorentina regalando la prima gioia casalinga ai propri tifosi. Decisive per i biancorossi le reti di Ciurria e Maldini, vana quella su rigore di Beltran. Parte forte la Fiorentina, con Gudmundsson che sugli sviluppi di un corner si ritrova libero di colpire in area ma non è preciso nell'indirizzare il pallone che termina così alto. Occasione per la Viola, che al 17′ si vede assegnare un calcio di rigore per il presunto fallo di Pablo Marì su Sottil, con l'arbitro Dionisi che prima comanda il penalty, salvo poi essere richiamato al Var e annullare la sua decisione. Prova a rispondere il Monza, con Bondo che dalla trequarti lascia partire una conclusione potente che termina poco distante dal palo alla destra di De Gea. Portiere spagnolo che non potrà nulla però al 44′, sul pallone perso da Gudmundsson che dà il via alla transizione del Monza conclusa dal mancino di prima di Ciurria, che spedisce il pallone nell'angolino e porta avanti i suoi. Duro colpo per la Fiorentina, che in avvio di ripresa andrà vicina al pari sulla mischia in area a favorire il tap-in del neo entrato Beltran, con Carboni che però salva in maniera decisiva sulla linea. Monza che però resta in partita e al 63′ trova infatti il gol del raddoppio: libero sulla destra Pedro Pereira, che si coordina per crossare in area dove c'è Maldini, bravo ad anticipare Adli e trovare il piatto che batte ancora De Gea. Gara che sembra così in discesa per i brianzoli, ma è al 73′ che i toscani trovano l'episodio per accorciare le distanze, sul contatto tra Carboni e Beltran che per Dionisi vale il rigore poi trasformato dallo stesso argentino. Finale di gara teso allo U-Power Stadium, con il forcing della Fiorentina che non si concretizza nel pari tanto inseguito dagli uomini di Palladino, che mancano così il sorpasso alla Juventus e confermano un momento no fatto di un solo punto nelle ultime cinque gare.
Ormai in Italia si sta quasi legittimando l'uso della violenza nelle piazze. Che sia per manifestare contro la morte di Ramy, a favore della Palestina o contro il governo. Ogni occasione è buona per scendere in strada e scagliarsi contro la polizia. E la sinistra tace. Un tema tirato in ballo anche dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Il Viminale, in un'intervista rilasciata al Tg1, ha parlato delle continue aggressioni alle forze dell'ordine. C'è "massima attenzione da parte nostra soprattutto verso questo fenomeno ricorrente delle aggressioni preparate, pregiudiziali alle Forze dell'ordine. È il tema su cui svilupperemo ogni possibile attenzione a difesa dei nostri poliziotti e dei nostri carabinieri". A 4 di sera, il talk show politico di Rete 4 condotto da Paolo Del Debbio, si è parlato a lungo della violenza nelle piazze italiane. Il giornalista di Mediaset ha voluto ascoltare il parere di un esperto: l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti. Il dem non ha avuto la minima esitazione a sottolineare quanto sia pericoloso legittimare l'uso della forza nelle manifestazioni. E nel farlo ha lanciato un messaggio anche alla sinistra. "È giusto e legittimo, una democrazia deve proteggere tutto ciò - ha spiegato Minniti -. Si possono esprimere anche le posizioni più radicali. Il limite più insuperabile è quello dell'uso della violenza. Su questo bisogna dire con chiarezza: basta! Sapendo anche che in questo momento della storia del mondo, dentro un clima di tensione e di violenze possono inserirsi i lupi solitari. L'abbiamo visto con l'attentato in Germania e l'abbiamo visto negli Stati uniti a New Orleans. Ecco - ha concluso -, un clima di violenza può apparire come qualcosa che può stimolare atti estremi individuali". Minniti: "In questo clima di tensione e violenza, possono inserirsi i lupi solitari" CI state seguendo?#4disera in diretta su #Rete4 e in streaming su Mediaset Infinity pic.twitter.com/myrAvSSVvG — 4 di sera (@4disera) January 13, 2025
Roma, 13 gen. (Adnkronos/Labitalia) - La compagnia aerea finlandese Finnair e la statunitense American Airlines avviano a partire da gennaio una collaborazione in codeshare, offrendo collegamenti verso 12 destinazioni in Messico. L'accordo include i voli operati da American Airlines dal suo hub di Dallas-Fort Worth verso gli aeroporti di Guanajuato, Monterrey, Ixtapa-Zihuatanejo, Cancún, Cozumel, Guadalajara, Città del Messico, Mérida, Oaxaca, Puerto Vallarta, Querétaro e San José del Cabo. Dallas-Fort Worth, hub di American Airlines, rappresenta una destinazione strategica per Finnair. Durante l'inverno, la compagnia finlandese ha operato voli giornalieri verso l'aeroporto texano e, per l'estate 2025, prevede di aumentare ulteriormente la capacità, raggiungendo fino a 11 voli settimanali. “Questa collaborazione offre ai nostri clienti un'ampia scelta di destinazioni in Messico, una meta molto apprezzata sia dalla Finlandia che dal resto del Nord Europa, soprattutto durante l'inverno. Oltre al Messico, American Airlines garantisce ottimi collegamenti via Dallas verso numerose destinazioni negli Stati Uniti e nel continente americano”, afferma Fredrik Wildtgrube, svp Alliances and Airline Partnerships di Finnair. I voli in codeshare sono operati dai partner di Finnair, ma la compagnia riserva e vende posti utilizzando il proprio numero di volo. Grazie a questa collaborazione di codeshare, i clienti Finnair possono viaggiare sull'intera tratta con un numero di volo Finnair e accumulare punti Avios per l'intero viaggio. Queste destinazioni in codeshare ampliano ulteriormente l'attuale network di rotte congiunte già esistente con i partner della Atlantic Joint Business di American Airlines. “Siamo lieti di offrire ai clienti Finnair un accesso ancora più semplice alle destinazioni più popolari del Messico. Questa espansione garantirà collegamenti più agevoli sulla vasta rete di American Airlines, dal Messico alla Finlandia e oltre”, ha dichiarato Anmol Bhargava, vicepresident of Partnerships di American Airlines. I voli in codeshare saranno operati dal 23 gennaio con la vendita dei biglietti già disponible dal 13 gennaio in poi. I voli saranno operati da American Airlines e dalla compagnia aerea regionale Envoy Air, partner del vettore statunitense.
(Agenzia Vista) Usa, 13 gennaio 2025 "L'accordo sul cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas è sul punto di essere chiuso". Così il presidente uscente nel suo ultimo discorso di politica estera al dipartimento di Stato. White House Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev
I telespettatori di Affari Tuoi non sono rimasti molto soddisfatti dalla scelta del concorrente di oggi, lunedì 13 gennaio. Alcuni, infatti, sostengono di non aver mai visto Andrea - il rappresentante della Regione Valle d'Aosta - nelle scorse puntate. Ma Stefano De Martino, da buon conduttore, ha preso in mano la situazione e ha cercato di intrattenere i telespettatori con alcune sue tipiche trovate. Da qualche puntata Stefano De Martino fa sempre la stessa cosa: mangia delle tegole. Ma perché? E soprattutto che cosa sono? "Tutti che dicono che le tegole sono buone - ha commentato Giovanna su X -, ma non le ho mai mangiate". Ebbene, sembra che Stefano De Martino in passato si sia reso protagonista di una gaffe clamorosa. In pratica, il conduttore napoletano aveva dichiarato che nessuno conosce la ricetta delle tegole. "De Martino dopo la gaffe di aver esordito 'tanto nessuno sa la ricetta delle tegole' - ha scritto Angela su X - si sta ingozzando da qui al 2026 per sponsorizzare il prodotto". Ma che cosa sono le tegole? Sono dei dolci, molto simili a dei biscotti che fanno parte della tradizione gastronomica valdostana. Guarda caso proprio la regione in gara questa sera. Il loro nome è da attribuire proprio alla forma, che richiama quella incurvata tipica delle tegole.
Lunedì 13 gennaio è andata in onda una nuova puntata di Affari Tuoi, il game show di Rai 1 condotto da Stefano De Martino. Ma prima di accogliere il concorrente di stasera, lo showman napoletano ha dato il benvenuto al nuovo pacchista della Regione Emilia Romagna. Si chiama Mario, è originario di Imola e di mestiere fa l'autista. Il concorrente, invece, gioca in rappresentanza della regione Valle d'Aosta e fa l'agricoltore. Si chiama Andrea e, come ricorda De Martino, per l'occasione "si è vestito come una delle melanzane che coltiva". Ed è venuto a giocare negli studi di Affari Tuoi con la sorella Sinni. Lei, invece, fa tutt'altro: è una personal trainer. Il pacco da loro scelto è il numero nove. Il nuovo concorrente di Affari Tuoi non ha trovato il favore dei telespettatori. In tanti, infatti, hanno dichiarato sui social di non averlo mai visto durante le scorse puntate. "Ma scusate - ha chiesto su X Alessia -. Chi è questo? Mai visto". Dello stesso avviso anche un altro utente: "Sera... anche il tizio di stasera non lo ricordo". "Spoileratemi chi gioca ad Affari Tuoi", la richiesta invece di Francesca. Ma c'è anche spazio per un po' di nostalgia: "Comunque da quando sono andati Antonietta, Beautiful, José, Valentina e ieri Alec, mi sembra di non conoscere nessun pacchista". Guardo #affarituoi tutte le sere, potrei giurare di non averlo mai visto Da quante puntate sta lì? — ꕥ Stefania ꕥ (@Stefy_opinioni_) January 13, 2025