Rassegna Stampa Quotidiani
Il Foglio.it
Conti in ordine, sì. Ma demolire un ponte per via giudiziaria anche no
2 ore fa | Lun 17 Nov 2025 19:56

Che i conti pubblici vadano controllati è ovvio. È giusto. È il lavoro della Corte dei Conti, ed è bene che lo faccia con scrupolo. Ma un conto è verificare la legittimità degli atti, un altro è trasformare un controllo in un freno permanente su una decisione politica che il Parlamento ha già assunto, finanziato e confermato più volte. Lo stop al terzo atto aggiuntivo della convenzione per il Ponte sullo Stretto, arrivato dopo quello alla delibera Cipess, non riguarda una nuova scoperta, né un vizio occulto: è semplicemente la conseguenza automatica del mancato visto precedente, come riconoscono gli stessi protagonisti istituzionali. Il punto allora non è se i magistrati contabili debbano fare il loro mestiere — è ovvio che debbano farlo. Il punto è capire se sia fisiologico che un’opera considerata dal legislatore “strategica di preminente interesse nazionale” possa rimanere sospesa per mesi non per scelta politica, non per dubbi tecnici, ma per una sequenza di atti amministrativi che si bloccano a vicenda, mentre motivazioni e contromotivazioni arrivano con lentezza. Anche questo fa parte dello Stato di diritto, certo. Però resta un paradosso: se in Italia un’infrastruttura può essere fermata più a colpi di visto che di voto, allora il problema non è il Ponte. Il problema è il meccanismo. Un meccanismo che non distingue tra vigilanza e supplenza, tra controllo dei conti e sostituzione del decisore politico. Si parla di un “percorso ordinario”, di stop prevedibili e di approfondimenti in arrivo. Ma se tutto questo è davvero ordinario, allora significa che c’è qualcosa di profondamente disfunzionale. Perché un Paese che vuole correre dovrebbe poter correggere errori formali senza rimettere ogni volta in discussione il merito delle opere. Controllare è sano. Sostituirsi alla politica, no. E oggi la sfida è tutta qui: evitare che il principio sacrosanto della legalità si trasformi, per inerzia, nella forma più sofisticata di immobilismo.

La vita fiabesca delle Kessler
3 ore fa | Lun 17 Nov 2025 19:13

Questo pomeriggio ho vissuto un lungo sognante momento gozzaniano. Avevo sotto gli occhi una cartolina autografata, presa da non so quale antiquario, delle gemelle Kessler sul set del Conte di Lussemburgo, un’operetta di Franz Léhar riadattata nel 1957 a commedia musicale per il cinema (“filmeretta”, dicevano loro). Alice ed Ellen, allora ventenni, facevano la parte di Fritzi e Franzi, ciascuna con un levriero afgano al guinzaglio, ma non ci potevo far nulla: io vedevo Carlotta e Speranza in un dagherrotipo del 1850. Sono diventato un ammiratore delle Kessler con qualche decennio di ritardo perché l’adolescente che vive in me sa innamorarsi solo del passato, dove i desideri nascono già nella forma introversa dei rimpianti. Così negli anni mi sono procurato un po’ di cimeli: la loro autobiografia simbiotica, Eins und Eins ist Eins (“Uno più uno fa uno”), il famigerato numero di Playboy che le ritraeva in copertina, perfino il loro “Ricettario” di bellezza, che è un libro illustrato di ginnastica aerobica pieno di fotografie magnifiche, come quella di Alice ed Ellen – grandi appassionate di giardini zoologici, prima tappa di ogni loro viaggio – che allattano con il biberon due cuccioli di gorilla a Francoforte nel 1972. Qualcosa di fiabesco aleggia sulla vita delle Kessler, che amavano raccontarsi come personaggi dei Grimm: “C’erano una volta a Sachsen due gemelline bionde nella cui culla il destino non aveva messo alcun cucchiaio d’oro…” (nascere con un cucchiaio d’oro in bocca è una frase idiomatica tedesca che equivale al nostro nascere con la camicia). E qualcosa di fiabesco, dunque di infinitamente perturbante, aleggia anche sulla loro morte sincronizzata. Le immagino dialogare, negli ultimi giorni, come Carlotta e Speranza: “...Mah!... Sogni di là da venire. – Il Lago s’è fatto più denso di stelle – ...che pensi?.. – Non penso... – Ti piacerebbe morire?”. E ora che sono relegate irrevocabilmente nel passato, con un sorriso senza fine bello in una cartolina del 1957, posso amarle ancora di più.

La fine delle Kessler, che rimpianto per quella Rai in bianco e nero (meno per quell'Italia)
3 ore fa | Lun 17 Nov 2025 19:08

Sembra un misto tra “Viale del tramonto” e un film malinconico della vecchia commedia all’italiana,

I tre fronti di Mosca in Polonia: sabotaggi, scontri e disinformazione
3 ore fa | Lun 17 Nov 2025 19:00

Fermare i treni polacchi, soprattutto quelli che si muovono verso est, quindi verso l’Ucraina, sarebbe stata una vasta operazione contro Kyiv e contro Varsavia, capace di d... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

La perfezione discreta di Alice ed Ellen Kessler
3 ore fa | Lun 17 Nov 2025 18:54

"Avevano movenze perfettamente simmetriche, alle quali le calze nere conferivano un'astrazione geometrica. Sembravano compassi. Bellissime, algide, per niente sensuali. Gli uomini potevano ammirarle castamente, come si ammira una statua di Prassitele, e poi tornare sereni dalla moglie". C'e' una perfetta rispondenza fra le modalità della morte di Alice ed Ellen Kessler a ottantanove anni, un doppio suicidio assistito sul quale stanno indagando le autorità tedesche, e le parole che, nel 2013, mi disse Ettore Bernabei, il direttore generale della Rai degli anni gloriosi del "Dadaumpa" e di "Studio Uno", ma anche del maestro Manzi e degli sceneggiati letterari, mentre lavoravamo alla grande mostra per i Sessanta anni della tv nazionale e i novanta della radio. Cercando e catalogando centinaia di costumi, avevo trovato solo due coppie di giacche delle formidabili sorelle, in seta bianco gesso e in ottoman nero e finta gessatura di cristalli, firmate dal grandissimo Alberto Fabiani, degli ultimi anni Sessanta e primi Ottanta. I famosi pagliaccetti di "Giardino di inverno", dove avevano debuttato nel 1961 con il "pollo e champagne", erano andati perduti negli anni Ottanta, le piume bruciate nel grande rogo, forse provvidenziale, di un magazzino Rai di Roma che custodiva i costumi degli spettacoli raffinati e divertenti, accompagnati dall'orchestra di Gorni Kramer, in cui gli italiani scoprirono l'esistenza delle femmine del Lido di Parigi, l'incredibile lunghezza delle gambe delle gemelle e, avrebbe detto poi Alberto Sordi in un celebre sketch, dei loro piedi. Quelli che vedete adesso, in certi balletti celebrativi, sono copie eseguite al ribasso dei celeberrimi costumi di  Folco Brunelleschi, che era arrivato in Rai al seguito di Antonello Falqui e di Guido Sacerdote, a loro volta rientrati da un giro negli Stati Uniti e a Parigi con l'idea di fare una tv migliore di Nbc e Tf1 e come avrebbero in effetti fatto. "Alice ed Ellen arrivavano a via Teulada tutte le mattine alle otto e provavano per otto ore. Per educazione a disciplina ferrea", mi raccontò Falqui nel suo appartamento ai Parioli, tutto mobili Librrty e affiches primi Novecento e lampade Tiffany di cui, come il padre, era collezionista. Perfezionista maniacale, capace di far ripetere i numeri dei suoi spettacoli decine di volte perfino ai cagnolini delle sue vedette (nel caso, Franca Valeri con Roro, secondo di una lunga dinastia di cavalier king Charles), Falqui era ancora incantato, mezzo secolo dopo, dalla professionalità assoluta e irripetibile, dalla loro totale discrezione, dai loro amori famosi, Umberto Orsini per esempio, ma anche Marcel Amont, vissuti sottotraccia come oggi nessuna delle stracciarole che sceneggiano povertà amorose davanti ai falò farebbe o vorrebbe. "Le Kessler", pronunciate inevitabilmente in coppia, non si erano mai sposate perché non sopportavano di condurre esistenze separate. Poter scegliere come vivere e come morire è un privilegio, il gesto ultimativo della libertà, che entrambe hanno perseguito ogni giorno. Ti ricevevano eleganti, leggermente distanti, le fossette che spuntavano a ogni sorriso sulla pelle curatissima. Sono andate via insieme come avevano programmato certamente fin da bambine, nel linguaggio e nei modi segreti dei gemelli. È stata l'ultima lezione di eleganza a cui potremo assistere nel mondo dello spettacolo.

Zelensky firma l’acquisto di cento Rafale e otto Samp-T. Così cambia la difesa ucraina
3 ore fa | Lun 17 Nov 2025 18:35

Parigi. “Un grande giorno”, ha scritto su X in francese e in ucraino Emmanuel Macron. Oggi, all’aeroporto militare di Villacoublay, a ovest di Parigi, il capo dello stato francese e il suo... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

C’era una volta la Rai. Giovanni Benincasa racconta il cavallo morente
4 ore fa | Lun 17 Nov 2025 18:14

“Facciamo un programma così: entriamo di notte, con una torcia sulla testa, e andiamo per i corridoi al buio, dentro la Rai”. Giovanni Beninca... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Zelensky è lo specchio dell'Europa
4 ore fa | Lun 17 Nov 2025 17:30

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Almeno il Papa parla dei cristiani massacrati
4 ore fa | Lun 17 Nov 2025 17:29

Anche oggi, in diverse parti del mondo, i cristiani subiscono discriminazioni e persecuzioni. Penso, in particolare, a Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e altri paesi, dai qual... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Trump cambia idea sul caso Epstein per paura di perdere voti al Congresso
5 ore fa | Lun 17 Nov 2025 16:19

Donald Trump, dopo mesi di ambiguità, si è dichiarato favorevole a rendere pubblici tutti i documenti in possesso del Dipartimento di Giustizia riguardanti il caso Jeffrey Epstein: su Truth, il social di sua proprietà, nella serata di domenica ha scritto di “non avere nulla da nascondere”. Il cambio di posizione arriva nel momento in cui la Camera è pronta a votare una mozione per costringere l’amministrazione a rilasciare i documenti, presentata congiuntamente dal repubblicano Thomas Massie e dal democratico Ro Khanna: secondo fonti ottenute da POLITICO, il presidente avrebbe rischiato di perdere più di cento deputati, e per questo avrebbe preferito dichiararsi favorevole alla richiesta di trasparenza giunta dal Congresso.   Il rapporto di Trump e della sua base con il caso Epstein, seppur esploso negli ultimi mesi, affonda le sue radici sin da subito dopo il suicidio in carcere del miliardario accusato di traffico sessuale e abuso di minori: Trump, infatti, pochi giorni dopo la morte di Epstein ha condiviso un tweet in cui si implicava che i Clinton avessero qualcosa a che fare con la sua morte. A partire da quel momento, il caso Epstein si è ammantato di innumerevoli teorie del complotto, tutte basate sull’idea che fosse stato ucciso per evitare che rivelasse segreti e complotti dell’elite democratica. Poco prima delle elezioni del 2024, a Trump venne chiesto se avesse intenzione di rendere pubblici i documenti del caso Epstein, nel caso fosse stato eletto: una domanda a cui il presidente ha risposto in modo evasivo, affermando che “ci potrebbero essere cose false, e questo distruggerebbe la vita di molte persone”. Tuttavia, non appena si è insediata alla Casa bianca, la procuratrice generale Pam Bondi ha organizzato una conferenza stampa a cui ha invitato alcuni influencer conservatori favorevoli alla trasparenza sul caso Epstein per dare loro alcuni documenti non ancora resi disponibili al pubblico. Nonostante questo supporto iniziale, alcuni mesi dopo Bondi ha affermato che riteneva il caso chiuso: nel frattempo, Elon Musk, recentemente allontanato dall’amministrazione, scriveva su X che il governo stava insabbiando tutto perché il nome di Trump era presente nei documenti riguardanti Epstein.    Queste due notizie hanno infiammato la base repubblicana, che per la prima volta ha evidenziato uno scollamento da Trump, fino a quel momento mai messo in discussione. L’influencer Laura Loomer, molto vicina al presidente, ha accusato Bondi di “coprire la pedofilia” e anche la deputata Marjorie Taylor Greene, definita negli anni una trumpiana radicale, ha chiesto piena trasparenza. Nel frattempo, Trump ha cercato di cambiare discorso varie volte, affermando che i repubblicani stavano cadendo in un tranello orchestrato dai democratici, che le notizie su Epstein fossero false e che bisognava concentrarsi sui problemi degli Stati Uniti. Non è però bastato: alla Camera alcuni repubblicani si sono schierati coi democratici per chiedere il rilascio di tutti i documenti, mentre sulla stampa sono apparse sempre più speculazioni sulla vicinanza tra i due. Negli ultimi sviluppi, i democratici hanno reso pubbliche alcune mail di Epstein, in cui scriveva che Trump “sapeva delle ragazze”.   L’alleato principale di Trump alla Camera, lo speaker Mike Johnson, ha cercato di rallentare il possibile voto al Congresso. Prima, complice lo shutdown, ha bloccato le attività legislative per otto settimane, una mossa inusuale giustificata dal mancato accordo tra le parti al Senato. Poi, sempre adducendo lo shutdown come motivazione, si è rifiutato fino al termine della settimana scorsa di ammettere alla Camera la deputata democratica Grijalva, eletta con una suppletiva tenutasi il 23 settembre, e che aveva affermato che avrebbe firmato per chiedere all’amministrazione di pubblicare tutti gli atti su Epstein. Ancora pochi giorni fa, Johnson e Trump hanno tentato di convincere due deputate repubblicane a ritirare la loro firma dalla richiesta, senza successo. A quel punto, Trump ha capito di non avere la Camera dalla sua parte e ha deciso di dichiararsi favorevole al rilascio dei documenti, in modo da arginare la defezione in corso.    Quando il voto passerà alla Camera approderà al Senato, dove non c’è certezza di come si voterà: Chuck Schumer, il leader democratico, ha affermato che “se Trump ha cambiato idea, basterebbe che rilasci i documenti, senza che venga costretto a farlo da una legge”. Comunque prosegua la storia, è la prima volta in questo secondo mandato che Trump è stato costretto a cambiare strategia per evitare importanti defezioni al Congresso.

L'Autonomia precipita sulle regionali. Calderoli annuncia: "Pronte le pre-intese". Fico: "Blitz per colpire il sud"
6 ore fa | Lun 17 Nov 2025 16:09

Sui social lo annuncia direttamente il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli: "Procederò nei prossimi giorni alla firma delle pre-intese con le Regioni Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto". A pochi giorni dalle elezioni regionali in Veneto (ma anche in Campania e Puglia) la Lega e il resto del centrodestra battono un colpo sull'Autonomia, una delle tre grandi promesse del governo, rimasta impantanata sui veti della Corte costituzionale all'attuazione della riforma, in attesa della definizione di tutti i livelli essenziale di prestazione (i famosi Lep). La firma dunque serve, in realtà, come auspicato negli scorsi giorni da Luca Zaia, presidente uscente del Veneto, per cominciare a definire su quali materie il governo e le regioni dovranno provare ad accordarsi.     Calderoli spiega che procederà "a nome del Governo e con l'autorizzazione del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha espresso soddisfazione per l'attuazione del programma di governo e condivide il percorso intrapreso per il completamento dei negoziati".  Ciascuna delle singole pre-intese impegna il governo e la rispettiva regione a concludere i negoziati già avviati, "con l'obiettivo condiviso di raggiungere un'intesa", riguardo a funzioni concernenti le materie: protezione civile, professioni, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica in ambito sanitario. Calderoli si recherà personalmente in ognuna delle sedi istituzionali per la sottoscrizione delle pre-intese. Si comincia domani alle 11 a Palazzo Balbi a Venezia con Zaia, poi al pomeriggio a Palazzo Lombardia (alle 17) a Milano insieme al governatore Attilio Fontana. Dopodomani, mercoledì, tocca al Piemonte: appuntamento alle 10 al Grattacielo Piemonte a Torino con il governatore Alberto Cirio e nel pomeriggio, alle 14, a Palazzo Regione Liguria a Genova insieme al governatore Marco Bucci.    Intanto insorgono le opposizioni. Il primo ad attaccare, sempre in questo strano intreccio tra autonomia e voto regionale, è il candidato presidente del campo largo in Campania Roberto Fico: "Un blitz che evidenzia le intenzioni di questo governo che vuole indebolire il Mezzogiorno. Una vergogna, uno schiaffo ai campani". Sulla stessa linea anche il deputato e segretario del Pd campano Piero De Luca: "Ennesima trovata elettorale del centrodestra che rischia però di produrre danni irreparabili, alimentando diseguaglianze e minando il principio fondamentale di solidarietà e unità nazionale. Per un voto in più, la destra vuole spaccare l'Italia". E però sono gli stessi parlamentari del M5s a ridimensionare la portata di quanto sta accadendo: "Le pre-intese sono una vera castroneria giuridica, evidentemente la Lega è alla ricerca disperata di trovate propagandistiche con cui raccogliere briciole di consenso. La legge Spacca-Italia del ministro Calderoli è stata pesantemente bocciata dalla Corte Costituzionale. Quello che annuncia oggi il ministro Calderoli è fuffa, queste pre-intese per impegnarsi a future devoluzioni di alcune materie semplicemente non si possono fare", scrivono in una nota Carmela Auriemma, Vittoria Baldino, Roberto Cataldi, Alfonso Colucci, Felicia Gaudiano, Alessandra Maiorino e Pasqualino Penza.

L'Italia dovrà decidere se vuole l'ora legale tutto l'anno
6 ore fa | Lun 17 Nov 2025 15:47

Dopo Pedro Sanchez (e Donald Trump) ora anche l'Italia inizia a interrogarsi concretamente sul cambio dell'ora. La possibilità di abolire l'alternanza tra ora legale e ora solare è ufficialmente entrata oggi in Parlamento, con la Commissione attività produttive che ha iniziato a discutere la richiesta di indagine conoscitiva su questo tema presentata da Sima (Società italiana di medicina ambientale), Consumerismo No Profit e dal deputato Andrea Barabotti della Lega, dopo che più di 350 mila persone hanno firmato una petizione online che chiede l'istituzione dell'orario estivo per tutto l'anno. L'iniziativa è stata presentata oggi con una conferenza stampa.  Il deputato del Carroccio si è intestato di presentare la richiesta e ha definito l'iniziativa "una piccola rivoluzione di buon senso che tocca trasversalmente tutti gli italiani e garantisce un'ora di luce in più ogni giorno". La Commissione attività produttive ha il compito di valutare  "in modo oggettivo gli impatti dell'ora legale permanente sul comparto sociale e produttivo italiano", e ci sarà tempo fino al 30 giugno 2026 per esaminare quelli che sono i pro e i contro di tale cambiamento. Se il verdetto dell'indagine conoscitiva sarà positivo, allora sarà possibile far partire una legge che renda permanente l'orario estivo in tutto il paese. "L'Italia capisca qual è il suo miglior interesse. Mi sono confrontato con diversi colleghi deputati e il tasso di approvazione lo immagino intorno al 90 per cento", ha detto Barabotti.   Alla conferenza stampa alla Camera erano presenti anche i rappresentanti della Sima e Consumerismo No profit. "Ogni volta che cambiamo l'ora andiamo a stravolgere i ritmi circadiani: abbiamo più sonnolenza, perdiamo concentrazione, aumentano gli stati depressivi e di ansietà. Alcuni soggetti più deboli portano con sé anche un incremento di infarti e ictus", ha detto il presidente di Sima Alessandro Miani. Mentre da Consumerismo, Luigi Gabriele si è concentrato più sulle motivazioni sociali. "Può apparire come un'iniziativa apparentemente folle, ma c'è un grandissimo consenso. Un'ora di luce vuol dire più sicurezza, più sport all'aperto, più aperitivi e anche un risparmio sulle bollette". E ha aggiunto: "Vogliamo che sia il Parlamento ad acquisire tutte le informazioni per abrogare questa maledetta alternanza e a capire quale sia il miglior modello".   L'indagine nasce dall'impulso di mantenere l'orario estivo come permanente, ma i promotori dell'iniziativa si affidano alla decisione delle istituzioni. L'importante, spiegano, è decidere uno dei due orari: "I rischi elencati in precedenza non sono legati a uno o all'altro orario, quanto più al cambio che avviene due volte l'anno. È questo che va abolito", ha specificato Miani.   Oltre alle motivazioni strettamente più mediche e sociali, i promotori hanno menzionato, seppur brevemente, anche quelle legate all'economia e all'energia. Il deputato Barabotti ha ricordato i vantaggi legati al consumo di elettricità per i cittadini e le piccole e medie imprese, così come anche a una maggiore quantità di energia rinnovabile prodotta dalla luce del sole. Tuttavia, non sono stati forniti dati a supporto delle tesi più "economiche", ma probabilmente la Commissione attività produttive si occuperà di fare ricerche anche su questi aspetti.   I relatori dell'iniziativa hanno sottolineato, infine, il largo consenso della popolazione verso la soluzione proposta. "I cittadini sono per il mantenimento dell'orario estivo", hanno detto, scorrendo alcuni commenti dei firmatari della petizione. Il fronte del "no" sembrerebbe più ridotto, ma anche in questo caso non sono stati presentati numeri precisi. "Se si arrivasse a mantenere l'ora legale, un problema potrebbe nascere in certe aree del nord ovest", ha ammesso Gabriele. "Per come è posizionata l'Italia, tra metà novembre e metà gennaio in Piemonte e Valle d'Aosta il sole albeggerà non prima delle 8.30. È in effetti un problema, ma se abbiamo modificato le nostre abitudini per il cambio d'ora, lo si potrà fare di nuovo".    La palla passa dunque alle Camere. La discussione nasce dalla consultazione pubblica lanciata dalla Commissione europea nel 2018, alla quale parteciparono 4,6 milioni di cittadini. In quell'occasione, l'84 per cento dei votanti si espresse a favore dell'abolizione del cambio d'ora. Poi, nel 2019, il Parlamento europeo approvò una proposta di direttiva per lasciare ai singoli stati la libertà di scegliere tra ora legale o solare permanente. Ma in quell'occasione il processo si arenò a causa delle divergenze tra i paesi membri e lo scoppio della pandemia. A riaprire la discussione è stato il premier spagnolo Pedro Sanchez lo scorso 20 ottobre. L'obiettivo ora è arrivare a una posizione univoca anche per l'Italia.

Nuovo stop della Corte dei conti al Ponte sullo Stretto di Messina
7 ore fa | Lun 17 Nov 2025 14:48

Nuovo stop della Corte dei Conti al progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina. La magistratura contabile ha infatti negato il visto di legittimità al III atto aggiuntivo alla convenzione tra il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e la società Stretto di Messina Spa. "La Sezione centrale di controllo di legittimità, all’esito della Camera di consiglio seguita all’adunanza di oggi, 17 novembre 2025, non ha ammesso al visto e alla conseguente registrazione il decreto del 1° agosto 2025, n. 190, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2023, n. 58, recante 'Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria'. Approvazione III Atto aggiuntivo alla convenzione del 30 dicembre 2003, n. 3077, fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società Stretto di Messina spa", si legge in una nota della Corte. Le motivazioni, in corso di stesura, saranno rese note entro trenta giorni, con apposita deliberazione. Nemmeno un mese fa, a fine ottobre, la Corte dei Conti aveva reso noto alcuni rilievi e deciso di non registrare la delibera Cipess di approvazione del progetto definitivo e del piano economico-finanziario del Ponte sullo Stretto. Le motivazioni non sono ancora state rese note.

Un altro spareggio con l'ansia di non farcela per la Nazionale
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 14:13

Anche se Gennaro Gattuso può aver ragione a protestare per il

Un posto al sole: la signora Giulia manda via di casa Gianluca
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 14:07

Gianluca riesce a superare Rossella e a scappare ubriaco con la macchina. Per fortuna (ciò che non manca mai a Upas è proprio la fortuna) inchioda davanti a Guido, che lo ferma e lo riconosce. Ovviamente il ragazzo – che era pronto persino a investire la sua ex e andarsi a schiantare – ora si lascia tranquillamente sottoporre ad alcoltest. E da qui si fa togliere la macchina e torna a casa a piedi. Nel frattempo Alberto, saputo l’accaduto, va a scaricare tutta la sua rabbia contro Silvia e Nunzio al Vulcano. Ma lo chef, che è pur sempre figlio di Franco Boschi, tira fuori le doti da macho e gli dice che se Gianluca si ubriacava forse è proprio colpa del padre. A Luca invece è venuto un coccolone, e per poco non ci lasciava le penne. A questo punto la signora Giulia si trasforma in ciò che è davvero: l’unica boss del palazzo! E senza scrupolo né empatia né pena dice a Gianluca di lasciare quella casa. Facendolo piombare in un baratro ancora più profondo.

L’Italia del tennis non si ferma: ora il sogno è il Grande Slam di Roma
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 14:04

Neppure il giorno dopo la grande vittoria di Jannik Sinner alle Atp Fina... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Cosa accade ora che la Lega minaccia di negare (sul serio) gli aiuti a Kyiv
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 13:40

Fino a poco tempo fa quando si chiedeva a Giorgia Meloni o Antonio Tajani - come a qualsiasi altro esponente di FdI e Forza Italia - delle intemperanze di Matteo Salvini e della Lega sull'Ucraina, la risposta che si riceveva era sempre la stessa: "La Lega ha sempre votato gli aiuti militari a Kyiv". Della serie, le chiacchiere stanno a zero: Salvini e i suoi possono dire quel che vogliono, ma, quando si tratta di votare, e cioè di essere seri, anche loro tengono la linea filo ucraina del governo. Eppure, proprio negli ultimi giorni qualcosa sembra stia cambiando. Il segretario leghista ha cominciato a far capire il cambio di linea. "Stanno emergendo gli scandali che coinvolgono il governo ucraino, non vorrei che con i soldi di lavoratori e pensionati italiani si andasse ad alimentare la corruzione. L'invio di altre armi non risolverà il problema", ha detto alla fine della scorsa settimana, giocando in maniera pericolosa sulle recenti inchieste sulla corruzione in Ucraina. Altri esponenti del Carroccio hanno inteso il via libera di Salvini e hanno cominciato a chiarire di non essere più disposti a votare il sostegno militare italiano all'Ucraina. Questa mattina, anche il governatore uscente del Veneto Luca Zaia lo ha detto chiaramente: "Sono contrario all'invio di armi a Kyiv, serve la diplomazia, non le bombe". E pensare che proprio ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da Berlino, ammoniva su come: "La guerra di aggressione è un crimine". Oggi, presieduto da Mattarella, si riunisce il Consiglio supremo di Difesa per l’esame dell’evoluzione dei conflitti in corso e delle iniziative di pace, con particolare riferimento proprio all’Ucraina e alle minacce ibride che derivano dalla dimensione cognitiva del conflitto con la Russia. Una cosa è certa: se uno strappo leghista ci sarà, non è destinato a verificarsi presto. Il prossimo 2 dicembre il ministro della Difesa Guido Crosetto presenterà al Copasir, il dodicesimo pacchetto di aiuti militari che l'Italia è pronta a inviare a Kyiv. L'approvazione del nuovo pacchetto però non prevede nessun voto: né in Parlamento, né in consiglio dei ministri e, dunque, non potrà in nessun modo certificare lo strappo leghista. Infatti, sin dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina nel 2022, gli aiuti militari inviati dall'Italia seguono una procedura lineare. Ogni anno, con una singola votazione, il Parlamento autorizza – all'interno di un decreto quadro – l'invio di armi a Kyiv. È poi un decreto interministeriale (e che dunque non deve passare né alle Camere, né in Cdm)  – firmato da Difesa, Esteri ed Economia – a determinare i singoli pacchetti di aiuti. Il suo contenuto resta secretato, ma il ministro della Difesa informa il Parlamento proprio attraverso il Copasir. Se non sui pacchetti, dunque, è nella fase di rinnovo dell'autorizzazione all'invio di armi che potrebbe invece consumarsi lo strappo. Già in queste settimane il ministero della Difesa lavora al decreto di proroga dell'autorizzazione per il 2026. Ma proprio per evitare sorprese da parte del Carroccio, è improbabile che questo decreto arrivi in Parlamento prima del nuovo anno, nonostante la pressione di una parte dell'opposizione. Anche per questo, Giorgia Meloni ha invitato i suoi a non replicare alle uscite di Salvini e degli altri leghisti sulle armi. Da un lato bisogna evitare la polemica interna al centrodestra a una settimana dal voto regionale in Campania, Puglia e Veneto. Dall'altra, la convinzione è che, da qui al momento del voto sulla nuova autorizzazione, Salvini possa essere tornato a più miti consigli. Anche se questo non avvenisse, comunque non dovrebbe mancare una maggioranza parlamentare per l'invio di armi a Kyiv: Azione, Iv e un pezzo maggioritario di Pd, infatti, sono pronti a votare con FdI e Forza Italia per la nuova autorizzazione.

Come Alberto Sordi: a Roma Carlo Verdone sindaco per un giorno: "Che emozione"
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 13:34

È iniziata questa mattina la giornata da sindaco per un giorno di Carlo Verdone. L’attore e regista romano è stato accolto in Campidoglio dal vero sindaco Roberto Gualtieri per prendere parte ai lavori della giunta riunita al completo nella sala delle Bandiere di Palazzo Senatorio.  "Adesso ti comando", ha scherzato Verdone rivolgendosi a Roberto Gualtieri mentre riceveva la fascia tricolore al suo ingresso a Palazzo Senatorio e prima di inscenare, tra le risate, un primo discorso operativo da sindaco con i cronisti: "Le buche le tapperemo, in qualche modo. Adesso faremo il primo progetto e poi devo attapparle. Il progetto numero uno. Siamo gia' d'accordo. Abbiamo preparato le macchine idrauliche". L'agenda da sindaco per un giorno invece per Verdone ha previsto, dopo la riunione di giunta, un sopralluogo ai lavori di Tragliatella e un incontro con i residenti al Centro sociale di via Zubiena, prima dell'intervento di Verdone nella seduta straordinaria dell'Assemblea capitolina.  Non è mancato neanche il momento dello spegnimento delle candelini, festeggiato da Verdone visibilmente commosso in un centro anziani a La Storta. L'evento è stato pensato per festeggiare i 75 anni di Verdone, replicando a quanto accaduto ormai 25 anni fa, nel giugno del 2000, quando un'iniziativa analoga fu pensata dall'allora primo cittadino della capitale Francesco Rutelli per festeggiare gli 80 anni di Alberto Sordi. Un episodio ricordato anche da Verdone "Sordi lo incontrai alle due a Cinecittà, dove aveva fatto una sosta. Mi disse: 'andiamo via, via'. Mi porto' al ristorante di fronte e mi racconto': 'Io, il sindaco, manco per tre ore. Una cosa tremenda. Portatemi a letto'. Abbiamo mangiato in fretta ed e' stato riportato a casa a dormire. La sera c'e' stato il rinfresco con Rutelli e Berlusconi, ma era morto. Non so che giro gli hanno fatto fare".  Durante la giunta, invece, il sindaco per un giorno Verdone ha fatto approvare due memorie di indirizzo: la prima riguarda l’attivazione di un punto di odontoiatria e psicologia sociale a Tor Bella Monaca dedicato alle persone in maggiore difficoltà economica e finanziato con risorse del Pnrr.  La seconda memoria introduce nuove misure a sostegno delle librerie della città, soprattutto per quel che riguarda l’occupazione di suolo pubblico. Le librerie potranno utilizzare spazi esterni per attività culturali oppure per la somministrazione accessoria alla vendita di libri, anche quando non raggiungono i requisiti dimensionali stabiliti dal regolamento vigente. La misura si applica anche nella Città Storica e nel Sito Unesco, dove finora non era consentito l’uso di aree esterne.

Le imprese di Sinner ci fanno sentire ancora vivi
8 ore fa | Lun 17 Nov 2025 13:26

Sinner ha vinto, viva Sinner e abbasso tutti quelli che, di fronte alla nuova smania che ha preso gli italiani, son lì a criticarli perché, da qualche tempo, un popolo bue che seguiva solo il calcio si è all’improvviso scoperto appassionato del nobile tennis. Certo, nella voga tennistica c’è molto del carattere nazionale che ci induce a correre in soccorso del vincitore e c’è altrettanto della leggerezza peninsulare nel cedere in massa al pour parler di moda in quel momento; così come, non appena l’incolpevole Sinner invecchierà e sprofonderà nella classifica ATP, sarà inevitabile che i suoi più accesi sostenitori gli riservino la fine che già fu di tutti gli acclamati, dei Cola di Rienzo, dei Masaniello, dei Mussolini. Eppure, negli italiani che si scoprono popolo di santi, navigatori e tennisti ravviso qualcosa in più di queste assodate banalità: c’è la sorpresa di poter tutt’a un tratto imparare qualcosa di nuovo e fare qualcosa di diverso, c’è il sugo della vita che è lo stupore di fronte a qualcosa di inatteso e di imprevisto. Se un domani sorgesse in Italia un ipotetico campione di pelota basca o di lacrosse, di bridge o di taekwondo, tutti gli italiani seguirebbero quegli sport esotici e inusitati; e tiferebbero non soltanto per lui, ma per il proprio essere ancora vivi.

L’impresa di restituire la bellezza
10 ore fa | Lun 17 Nov 2025 11:57

Partirono con dieci, ed erano abbastanza. Era il 1989, ancora non era caduto il

L’Armageddon di Lodici a un passo dagli ottavi
10 ore fa | Lun 17 Nov 2025 11:43

Armageddon: nell’Apocalisse di Giovanni è il teatro dello scontro finale fra le forze del bene e del male, negli scacchi è la definitiva resa dei ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

La Commissione Ue prevede una "crescita modesta" per l'Italia. Il deficit al 3 per cento
10 ore fa | Lun 17 Nov 2025 11:41

Bruxelles. La crescita economica dell'Italia è tornata essere “modesta” rispetto al resto dell'Unione europea, ma il governo di Giorgia Meloni può sperare di uscire dalla ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

L'audio di Falcone smentisce Gratteri: in quel discorso del 1992 non si disse contrario alla separazione delle carriere
11 ore fa | Lun 17 Nov 2025 11:06

"Quali che possano essere nel concreto le soluzioni da adottare, un punto mi sembra fondamentale: il pm deve avere un tipo di regolamentazione differente da quella del giudice, non necessariamente separata. E questo non per assoggettarlo all’esecutivo, come si afferma, ma al contrario per esaltarne l’indipendenza e l’autonomia”. Sono parole pronunciate oltre trent'anni fa da Giovanni Falcone, durante il suo discorso all’Istituto Gonzaga dei Gesuiti di Palermo l’8 maggio del 1992, pochi giorni prima di essere ucciso a Capaci. E che ora Nicola Gratteri sta cercando di strumentalizzare. Non è la prima volta. Prima il procuratore di Napoli ha letto in diretta televisiva un'intervista falsa in cui si diceva che Falcone fosse contrario alla separazione delle carriere di giudici e pm. Lo stesso Gratteri poi, parlando col Foglio, si è poi giustificato dicendo: “Ho letto la finta intervista a Falcone da Floris perché me l’hanno mandata persone serie. Erano persone autorevoli dell’informazione, e io l’ho letta”.   Non pago, successivamente il pm ha usato alcune frasi vere - ma decontestualizzate - del magistrato. E ha citato proprio una parte del discorso che Falcone tenne nel 1992 in cui parlava del nuovo processo penale dopo la riforma Vassalli e dello scontro tra politica e magistratura. Sulla separazione delle carriere, il magistrato fa solo un passaggio in riferimento al nuovo sistema accusatorio, non in direzione di ciò che sostiene Gratteri: Falcone ha le idee chiare sulla netta distinzione tra le due funzioni ma, almeno in quel discorso, non si esprime in senso né favorevole né contrario alla separazione delle carriere (“non necessariamente”). Il passaggio citato da Gratteri in cui Falcone parla di “indipendenza e autonomia” della magistratura che “non significano affatto separatezza dalle altre funzioni dello stato”, infatti non si riferisce alla separazione delle carriere, ma alla separazione tra funzioni e istituzioni dello stato.

La metamorfosi delle metropoli e la sfida delle città plurali
11 ore fa | Lun 17 Nov 2025 10:18

Si è molto discusso del significato delle elezioni a New York e d... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Quanto poco spende l’Italia per la difesa dell’Ucraina
11 ore fa | Lun 17 Nov 2025 10:16

L’Italia nel 2025 ha approvato finora un solo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, a fronte di sostegni ben più consistenti da parte di altri paesi europei. Eppure la maggioranza non riesce ancora a trovare un accordo per firmare un secondo decreto di invio di armamenti a Kyiv. La Lega di Matteo Salvini, in particolare, non fa segreto della sua contrarietà a qualsiasi decisione in tal senso, ribadendo il concetto di “non coinvolgimento diretto” dell’Italia nel conflitto. Tanto clamore politico sarebbe giustificato se il nostro paese stesse sostenendo l’Ucraina con un impegno economico e militare significativo. Così, tuttavia, non è: l’Italia è tra i Paesi della Nato che meno hanno fornito armi a Kyiv.   In discussione c’è il dodicesimo pacchetto di aiuti nel corso di quasi quattro anni di combattimenti. Sebbene il contenuto dei provvedimenti sia secretato, emerge con evidenza che l’Italia ha notevolmente rallentato le consegne di armamenti rispetto ai primi mesi del conflitto. Cinque furono i decreti approvati nel primo anno di guerra, tre nel 2023, due nel 2024 e un solo decreto finora nel 2025. Ora la Lega vorrebbe rallentare ulteriormente, ostacolando il via libera al secondo pacchetto dell’anno.   Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso. Secondo i dati raccolti dal Kiel Institute, l’Italia si colloca al 21° posto su 27 paesi europei per supporto diretto a Kyiv: dal 2022, è stato impegnato appena lo 0,14 per cento del pil in aiuti bilaterali. Tradotto in valori assoluti, significa meno di un miliardo di euro all’anno, ovvero circa 20 euro per ciascun cittadino italiano. Una cifra simbolica, soprattutto se confrontata con il bilancio complessivo dello stato, e una goccia nel mare rispetto agli impegni assunti da altri paesi europei. Per avere un termine di paragone, la Danimarca – lo stato europeo che più ha speso per l’Ucraina – ha dedicato il 2,9 per cento del proprio pil; la Germania lo 0,6 per cento; la Francia lo 0,3. A questi importi vanno poi aggiunti i contributi dell’Unione Europea, ripartiti proporzionalmente alla dimensione economica di ciascuno stato.   L’impegno italiano rimane ridotto anche se si considerano i soli aiuti militari diretti. Secondo le stime degli analisti e ricostruzioni giornalistiche, il totale dei contributi del nostro Paese non supera i 2 miliardi di euro. Anche in questo caso, il confronto internazionale è chiaro: la Germania ha stanziato oltre 20 miliardi, la Francia quasi 7, la piccola Danimarca circa 10 miliardi. Perfino il lontano Canada ha destinato circa 5 miliardi di euro alle forze armate ucraine, superando di gran lunga l’Italia. Questi numeri chiariscono che, al di là delle parole e delle dichiarazioni politiche, Roma contribuisce in maniera marginale al sostegno militare a Kyiv rispetto ai principali alleati occidentali.   Una differenza sostanziale riguarda il tipo di armamenti inviati. L’Italia ha scelto di non fornire sistemi d’arma considerati eccessivamente offensivi. Non sono stati donati carri armati né aerei da combattimento, a differenza di quanto fatto da molti partner europei. Il grosso del contributo italiano si è limitato ad alcune decine di obici d’artiglieria, due batterie di contraerea Samp/T (secondo alcune fonti ucraine ormai quasi esaurite nelle munizioni), e numerosi mezzi da combattimento e veicoli da trasporto truppe in via di dismissione dall’Esercito italiano. Risorse utili per logistica e seconde linee, ma certamente insufficienti a proteggere il fronte, oggi soggetto a bombardamenti, droni esplosivi e attacchi missilistici di precisione.   Inoltre, il rallentamento delle consegne non riguarda solo i numeri, ma anche la velocità con cui gli armamenti giungono sul terreno. Altri paesi europei hanno instaurato catene logistiche efficienti che permettono di consegnare sistemi sofisticati entro settimane dall’approvazione politica; l’Italia, invece, soffre di lentezze burocratiche e di una prudenza politica che, se da un lato evita esposizioni e rischi, dall’altro limita l’impatto reale del nostro sostegno. I dati dipingono un quadro nitido: l’Italia contribuisce molto meno di quanto spesso dichiarato dalla sua classe politica. Sia da chi si fregia del supporto nazionale all’Ucraina, sia da chi ne farebbe volentieri a meno, come Salvini.