Rassegna Stampa Quotidiani
Il Foglio.it
Non capire Leone XIV
20 minuti fa | Mar 2 Dic 2025 03:24

Esclusivamente per nostra inadeguatezza, non abbiamo ancora capito la politica di Sua Santità Leone XIV. Una volta sembra richiamare Wojtyla, un’altra volta Bergoglio, ma quando fa se stesso noi pecorelle smarritissime non capiamo. Nel suo viaggio in Libano, l’altro ieri, parlando delle sofferenze, ha molto lodato il popolo libanese per la capacità di resistenza, quindi, moltissimo lodato il leader turco Erdogan, visto il ruolo importante che l’uno e l’altro potrebbero rivestire sulla strada della pace. Hezbollah gli aveva appena inviato un amichevole messaggio per esortare il Papa a difendere il suo ruolo – terrorista, secondo alcuni – nella Beirut che si sente provincia di Teheran. Ufficialmente, Sua Santità non ha risposto a Hezbollah, ha solo incontrato Nabih Berri, uno dei suoi capi in Libano, specificando: “Voi libanesi avete molto sofferto le conseguenze dell’instabilità globale, che anche nel Levante ha ripercussioni devastanti”. Vero. Tanto più che rispetto a Beirut, così come all’Iran, Israele è Ponente.

I ragazzi che hanno assaltato la Stampa sembrano usciti da un museo
33 minuti fa | Mar 2 Dic 2025 03:11

Cattivi maestri. Compagni che sbagliano. Mandanti morali. Fascisti rossi. Sedicenti. Provocatori. Album di famiglia. Colpirne uno. L’eskimo in redazione. Davanti all’assalto della Stampa di Torino da parte di un gruppo di militanti filopalestinesi, e ai commenti indecorosi della sempre più indecorosa Francesca Albanese (e pensare che ancora qualcuno se ne stupisce!), l’informazione italiana ha avuto la solita botta di senilità. È come se non fossimo mai usciti dagli anni Settanta, e il serbatoio di parole d’ordine, categorie di lettura, riflessi condizionati e risentimenti cronici accumulati in quella stagione non si svuotasse mai. Considerazioni anagrafiche a parte (l’età media degli opinionisti dei grandi giornali, su tutto lo spettro politico, è senz’altro un fattore di cui tener conto), si potrebbe vedere il bicchiere mezzo pieno: vuol dire che negli ultimi quarant’anni minacce altrettanto serie non ne abbiamo avute, e possiamo permetterci di campare di rendita sulla retorica di allora, sospinti dalla forza d’inerzia. Io però vedo soprattutto la metà vuota del bicchiere. Attenzione, non intendo rifilarvi la predica sugli occhiali del passato che impediscono di leggere i movimenti del presente: pistolotti di quel tenore sono appannaggio di un altro sottoinsieme di gerontocrati, tra tutti i più sgraziati, quei malvissuti che cercano smaniosamente di mimetizzarsi tra i ragazzi sperando di dar linfa fresca ai loro fallimenti di gioventù. Il problema è un altro: l’Italia è tuttora infestata da ideologie stantìe che rendono vecchi anche molti giovani. “Sedicenni”, ha scritto un professore quasi sessantenne per sminuire l’episodio. Alcuni forse lo sono. Ma sono sedicenni che sembrano sbucati da un museo di storia naturale del pensiero politico mummificato. Giovani antagonisti bolliti che rimestano slogan da vecchi gauchisti bolliti, rampognati da conservatori bolliti: un grande classico della cucina piemontese. L’unica variazione sulla ricetta è la dose abbondante di spezie mediorientali, ma fatico molto a chiamarla novità.

Funaro (Pd): "Gravi le parole di Albanese sulla Stampa. Incompatibile con la cittadinanza onoraria"
7 ore fa | Lun 1 Dic 2025 20:42

"L’irruzione nella sede del quotidiano La Stampa è un fatto gravissimo che ho condannato immediatamente, esprimendo solidarietà al direttore e ai giornalisti. Gesti come questo non hanno nulla a che vedere con i valori della Pace e con la difesa del popolo palestinese, ancora oggi vittima di crimini gravissimi. Su quanto è accaduto alla redazione della Stampa non ci può essere una condanna con un “ma”. Non possono esserci moniti al giornalismo che è libero ed è presidio di democrazia. Per questo non condivido e  prendo le distanze dalle dichiarazioni di Francesca Albanese". Lo ha fatto sapere in una nota la sindaca di Firenze Sara Funaro.   "Firenze è città di ponti e di pace, ha sempre dato riconoscimenti a persone che hanno fatto enormi sforzi per unire. Pur riconoscendo il suo importante lavoro svolto come relatrice ONU, Francesca Albanese in più occasioni ha dimostrato di  mandare messaggi che portano a dividere più che unire nella comune causa a difesa del popolo palestinese. Per questo come sindaca della città di Firenze non ritengo opportuno consegnarle la cittadinanza onoraria". ha aggiunto Funaro.

Nessuna concessione senza Kyiv, nessuna trattativa senza i volenterosi. Zelensky vede Macron
7 ore fa | Lun 1 Dic 2025 19:57

Parigi. La questione dei territori “è la più difficile” nei negoziati di pace per mettere fine alla guerra in Ucraina. Lo ha detto ieri il presidente Volodymyr Zelensky, in apertura della conferenza stampa  all’Eliseo con il suo omologo francese Emmanuel Macron. Si tratta della decima visita del leader ucraino a Parigi dall’invasione russa dell’Ucraina. Una visita per fare il punto sulle trattative dopo i progressi registrati a Ginevra  e in Florida tra i negoziatori ucraini e americani e per ribadire che l’accordo di pace non deve essere una resa a Mosca. “Dobbiamo fare in modo che la Russia non abbia l’impressione di ottenere una ricompensa per questa guerra”, ha detto Zelensky, riferendosi alle rivendicazioni territoriali di Mosca. Macron ha sottolineato che “solo l’Ucraina può decidere della sorte dei suoi territori” nel quadro dei negoziati di pace con la Russia. “Quando si parla di garanzie di sicurezza, queste non possono essere discusse o negoziate senza che gli ucraini, poiché è il loro territorio, siano seduti al tavolo delle trattative, e senza che gli europei e tutti gli alleati della coalizione dei volonterosi, poiché sono loro i garanti, siano seduti al tavolo delle trattative”. Per ora, ha concluso il presidente francese, “non esiste un piano di pace completo. (mz)

Elly Schlein? E’ una “riformista”. La versione di Filippo Sensi
8 ore fa | Lun 1 Dic 2025 19:34

Roma. Un day after doppio – dopo Montepulciano e dopo Prato – per un doppio appuntamento dem: di qua il cosiddetto correntone delle aree Franceschini-Orlando-Speranza; di là i riformisti pd, al lor... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Così la Nato si prepara a rispondere in modo più attivo alla guerra ibrida di Mosca
8 ore fa | Lun 1 Dic 2025 19:00

Ieri la portavoce del ministero degli Esteri del Cremlino, Maria Zakharova, ha detto che la Nato sta “minando gli sforzi per risolvere la crisi in Ucraina”. Il commento era alle parole del ca... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Abu Mazen ad Atreju. La mossa di FdI che spiazza la sinistra
9 ore fa | Lun 1 Dic 2025 18:44

Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, a quanto si apprende, sarà fra gli ospiti internazionali di Atreju, la kermesse di Fratelli d'Italia in programma dal 6 al 14 dicembre ai giardini di Castel Sant'Angelo. Il leader palestinese è atteso a Roma venerdì 12 dicembre per un incontro a Palazzo Chigi con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. A un mese di distanza dalla precedente visita

Crolla il processo parallelo sul caso Pifferi messo in piedi dal pm De Tommasi
9 ore fa | Lun 1 Dic 2025 18:36

Il gup di Milano Roberto Crepaldi ha assolto l’avvocata Alessia Pontenani, lo psichiatra Marco Garbarini e quattro psicologhe che lavoravano nel carcere di San Vittore (Paola Guerzoni, Federica Mar... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Vita, opere e avventure di Tom Stoppard, l'ebreo cecoslovacco che diventò il re della commedia inglese
9 ore fa | Lun 1 Dic 2025 18:26

È morto sabato a 88 anni nella sua amata Inghilterra Tom Stoppard, il più inglese degli autori del teatro inglese, vincitore di innumerevoli premi e uno dei più grandi commediografi al mondo. Anche... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Tra fede e politica, l'entusiasmo del Libano per Papa Leone
9 ore fa | Lun 1 Dic 2025 18:00

“Speriamo che il presidente Erdogan con il suo rapporto con il presidente dell’Ucraina, della Russia e degli Stati Uniti, possa aiutare a promuovere il dialogo, il cessate il fuoco e vedere come ri... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

L'Europa sulla strada dell'integrazione di eserciti e sistemi difensivi
10 ore fa | Lun 1 Dic 2025 17:30

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Avvolto nella classe dei suoi colpi, Pietrangeli e la sua racchetta erano tutt’uno
10 ore fa | Lun 1 Dic 2025 17:09

Col suo metro e settantotto di altezza, Nicola Pietrangeli era piccolino di statura se paragonato ai giganti odierni che di professione schiaffeggiano la palla da tennis (Sinner è alto 1,91). Del resto piccolino di statura è anche l’australiano Rod Laver, a mio giudizio il più grande tennista di sempre. Una volta lo vidi giocare dal vivo, era poco più alto della rete che separa i due giocatori. Eppure credo che una semifinale di Wimbledon in cui Pietrangeli fu sconfitto da Laver al quinto set sia stata una delle partite di tennis più belle mai giocate al mondo. Non sono il solo a pensarlo. Quanto ai suoi guadagni, quello che Pietrangeli guadagnava in un anno Sinner lo guadagna vincendo un torneo non particolarmente importante e senza dire degli astronomici guadagni che gli vengono dall’essere talmente presente negli spot televisivi pubblicitari, ciò che non esisteva ai tempi di Pietrangeli. E del resto ai suoi tempi il tennis non godeva in Italia della popolarità che gli ha assicurato il duo Sinner-Musetti.    Pietrangeli inoltre fu un capitano della nostra squadra quando andammo a vincere la Davis in Cile, dove gli imbecilli non volevano che noi andassimo perché c’era allora della gentaglia al vertice politico di quel paese. Imbecilli tali e quali a quelli che oggi non vorrebbero che l’Italia ospitasse le squadre nazionali di Israele. Non ho mai giocato a tennis, ero troppo povero per farlo. Non per comprare la racchetta ma per frequentare uno dei pochissimi campi da tennis allora esistenti in Italia e dove c’era da pagare fior di quattrini per poterlo utilizzare. Pietrangeli mi piaceva moltissimo come atleta in uno sport individuale, l’atleta italiano che ho amato di più dopo Fausto Coppi. Era come avvolto nella classe dei suoi colpi. Dopo averlo visto giocare, era orripilante vedere i tennisti che usavano il rovescio a due mani. Lo ricordo all’uscita di una cena in casa di Marina e Carlo Ripa di Meana. Rimanemmo in piedi a discutere a lungo. Glieli leggevo in faccia i suoi rimpianti, su tutti quello di avere sbagliato epoca nell’eccellere. Non solo era stato il numero tre nella classifica mondiale dei tennisti, era stato anche un asso nel doppio. In combutta con Orlando Sirola è stato dieci volte campione italiano di doppio. Di lui si può dire senza tema di fare della retorica che il tennis ce l’aveva nel sangue, che lui e la sua racchetta erano tutt’uno, che non c’era tennista al mondo cui lui fosse tecnicamente e psicologicamente subordinato. Con Laver perdeva, ma dopo avere giocato alla morte. Pur di vederlo giocare, una volta entrai a costo di svegliarlo nella camera del nonno dov’era il televisore e dove Pietrangeli stava giocando la finale del torneo internazionale di Roma, finale che purtroppo perdette contro un temibile australiano. Più di sessant’anni fa. Credo che gli ultimi anni della sua vita siano stati dolorosi, a partire dalla rottura sentimentale con una donna che aveva amato.   Fu un leone quando si trattò di capeggiare la squadra italiana in quel Cile dove comandavano i delinquenti che si erano sbarazzati con la forza di Salvador Allende. Solo che la politica è una cosa e lo sport tutt’altra. La politica separa la gente e i popoli, lo sport li mette in rapporto. Vinca il migliore. E Nicola lo è stato in modo assoluto, fra i migliori e i più vincenti. Quanto l’ho amato.

Un posto al sole: una testimonianza mette nei guai la famiglia Gagliotti
10 ore fa | Lun 1 Dic 2025 16:57

Alice torna a Napoli e finalmente si rivede con Vinicio. Ma proprio durante il primo incontro (ovviamente al caffè Vulcano) passa alla radio l’intervista di Michele a Espedito, che racconta tutto ciò che hanno dovuto passare con i Gagliotti e con quali minacce gli hanno tolto il caseificio. Mariella infatti ha convinto i cugini a parlare e a rivelare tutto a radio Golfo. Creando così un danno di immagine alla famiglia. Mentre però Alice dice al ragazzo che loro non devono litigare per le vicende delle loro famiglie, Vinicio non riesce a distaccarsi dal fratello, nonostante Gennaro continui a trattarlo male, e nonostante ormai abbia del tutto riacquistato la vista, anche se finge di essere ancora cieco per tenere Roberto in pugno. Ai piani bassi del palazzo nel frattempo Rosa è sempre più indecisa se accettare il posto in portineria, anche perché solo ora ha scoperto che serve l’autorizzazione del capo condomino Otello, che ancora non sa nulla.

Cecità strategica sulla difesa. Il mancato accordo con il Regno Unito su Safe rende l’Europa più debole
11 ore fa | Lun 1 Dic 2025 16:26

La Commissione di Ursula von der Leyen e il governo di Keir Starmer non sono riusciti a trovare un accordo sulla partecipazione del Regno Unito a Safe, lo strumento di prestiti da 150 miliardi di euro per sviluppare l’industria della difesa attraverso gli acquisti congiunti di armamenti. Nel momento in cui gli europei cercano di proteggere l’Ucraina dalla pressione dell’Amministrazione Trump e da un piano di capitolazione, la notizia è quasi passata inosservata. Eppure il fallimento dei negoziati tra Bruxelles e Londra su Safe sono di pessimo augurio per chi sostiene che l’Europa– e non solo l’Unione europea a 27 – debba fare squadra per affrontare la doppia minaccia dell’imperialismo della Russia e del disimpegno degli Stati Uniti dal vecchio continente.   Gli appalti di Safe dovevano servire da catalizzatore per la reintegrazione del Regno Unito nella difesa europea dopo la Brexit. Invece, l’approccio burocratico e di corta veduta adottato dalla Commissione compromette il reset sulla sicurezza. Il fallimento dei negoziati su Safe si riassume in una questione di soldi. La Commissione attribuisce la colpa a Starmer che non ha voluto mettere mano al portafoglio come richiesto a chiunque partecipi a un programma dell’Ue. A prima visita l’argomento è logico: se l’industria della difesa britannica può beneficiare della manna da 150 miliardi di Safe, Londra deve dare un contributo. Funziona così sul programma di ricerca Horizon o su Erasmus. Ma la sicurezza dell’Europa non è materia da contabili. La richiesta iniziale della Commissione era irrealistica: 6,5 miliardi di euro. L’obiettivo era ottenere almeno 2 miliardi di euro. Dopo due mesi di negoziati, Starmer ha rifiutato. Chi ci rimetterà sono gli stessi stati membri dell’Ue, che non potranno usare i fondi di Safe per comprare armamenti dall’industria britannica (salvo un 35 per cento delle componenti delle armi prodotte nell’Ue). Senza l’integrazione del Regno Unito nella difesa europea, compresa la componente industriale, l’Europa sarà molto più debole.

L'università di Bologna blocca il corso di filosofia per ufficiali. Meloni: "Atto incomprensibile e sbagliato"
13 ore fa | Lun 1 Dic 2025 14:37

"Ritengo che la decisione assunta dal dipartimento di Filosofia dell'università di Bologna di negare l'attivazione di un percorso di studi per i giovani ufficiali dell'esercito Italiano sia un atto incomprensibile e gravemente sbagliato". La premier Giorgia Meloni interviene sulla polemica nata ieri dopo la scelta dell'universita di Bologna di negare la richeista arrivata dal capo di stato maggiore dell'esercito Carmine Masiello che aveva proposto all'ateneo di attivare un corso di Filosofia per una quindicina di giovani ufficiali. Dice la presidente del Consiglio in una nota: "Non si tratta solo di una scelta inaccettabile, ma di un gesto lesivo dei doveri costituzionali che fondano l'autonomia dell'università. L'ateneo, in quanto centro di pluralismo e confronto, ha il dovere di accogliere e valorizzare ogni percorso di elevazione culturale, restando totalmente estraneo a pregiudizi ideologici. Questo rifiuto implica una messa in discussione del ruolo stesso delle forze armate, presidio fondamentale della difesa e della sicurezza della Repubblica, come previsto dalla Costituzione. Arricchire la formazione degli ufficiali con competenze umanistiche - prosegue ancora la premier - è un fattore strategico che qualifica ulteriormente il servizio che essi rendono allo stato. È proprio in questa prospettiva di difesa e di impegno strategico, spesso in contesti internazionali complessi, che la preparazione non può essere solo tecnica. Avere personale formato anche in discipline umanistiche garantisce quella profondità di analisi, di visione e di pensiero laterale essenziale per affrontare le sfide che alle forze armate sono affidate. Una preparazione completa è garanzia di professionalità per l'intera nazione. Ribadisco personalmente e a nome del governo il pieno e incondizionato sostegno all'Esercito e alle forze armate e condanno fermamente ogni tentativo di isolare, delegittimare o frapporre barriere ideologiche a un dialogo istituzionale così fondamentale per l'interesse nazionale".   Sulla vicenda, in un'intervista al Corriere della Sera, questa mattina era intervenuto anche il ministro della Difesa Guido Crosetto: "Parlerei di un’occasione mancata", aveva detto. "Se fossi il preside di una facoltà di filosofia e il capo di stato maggiore dell’esercito mi chiedesse una mano per formare i miei ufficiali, allargando a loro la mente il più possibile, sarei onorato. Se tu accetti dei militari non significa che hai accettato quello che loro fanno se sei un antimilitarista, ma che hai accettato un confronto. Ed è surreale che una facoltà di filosofia non accetti il confronto. Mi sono arrivati dieci messaggi di rettori e di presidi di altre facoltà che si offrono di sostituirli. Lo faremo altrove".

Tajani ha scelto: sarà Mulè il coordinatore della campagna referendaria per il sì alla riforma della giustizia
13 ore fa | Lun 1 Dic 2025 14:13

Sarà il vicepresidente di Montecitorio e deputato Giorgio Mulè il coordinatore di Forza italia per la campagna per il Sì al referendum sulla giustizia. La notizia è stata data con una email agli iscritti da Antonio Tajani. "Tra le battaglie che identificano Forza Italia e ne costituiscono un valore identitario - scrive il segretario di FI - quella della Giustizia Giusta ha attraversato e segnato la nostra storia fin da quando Silvio Berlusconi fondò il nostro Movimento. Quella della separazione delle carriere - aggiunge - è una battaglia di civiltà che abbiamo portato avanti in Parlamento in favore dei diritti del cittadino di avere una giustizia davvero imparziale, rapida ed efficiente".    Tajani invita dunque gli iscritti ad aiutare il nuovo coordinatore nella sfida referendaria: "Sono certo di poter contare sul vostro apporto e sul vostro entusiasmo per arrivare a celebrare insieme il raggiungimento di un traguardo che segnerà la storia dell’Italia onorando nello stesso tempo la promessa fatta a Silvio Berlusconi di poter essere giudicati nel nostro Paese da un giudice realmente libero, terzo e imparziale".

Tom Stoppard e la diffidenza degli italiani di fronte agli scrittori di parole
13 ore fa | Lun 1 Dic 2025 13:59

Ricordo ancora le risate quando, guardando “Shakespeare in Love” in un cinema di Desenzano, vidi la scena in cui il protagonista chiede il nome a un bambino intento a torturare dei topolini, e quello risponde: “John Webster”. Tragicamente, risi unico in tutta la sala: per apprezzare la battuta, bisognava sapere che Webster era un drammaturgo un po’ più giovane del Bardo ma molto, molto più efferato. Questo era l’effetto di Tom Stoppard, ossia un’immane soddisfazione intellettuale nelle rare occasioni in cui si riusciva a cogliere i più minuscoli riferimenti colti nei suoi copioni, senza altrimenti perdersi chissà cosa nel godimento della trama. Morto nel weekend, Stoppard è stato il più grande drammaturgo anglofono dei suoi tempi, ciò che in precedenza erano stati Pinter e Beckett, Congreve e Shakespeare. Alla notizia, in Italia, sono stati riservati strapuntini, mentre – ad esempio – l’Observer le ha dedicato l’intera prima pagina. Non è solo questione di lingua: “Shakespeare in love” lo abbiamo visto anche qui, nelle nostre innumerevoli Desenzano. È piuttosto una certa diffidenza che coglie noi italiani di fronte agli scrittori di parole, in grado di combinare la perfezione tecnica al distacco ironico della divinità che dà il primo calcio al creato e poi lo guarda funzionare da sé. Noi preferiamo gli scrittori di fatti (“tratto da una storia vera!”) e i proclami roboanti e sdegnosi. Come potevamo apprezzare l’autore di “Rosencrantz e Guildenstern sono morti”, che rilegge Shakespeare attraverso la lente di Oscar Wilde? Come potevamo capire l’autore di “Dogg’s Hamlet”, in cui ci vengono mostrate le prove di un “Amleto” in una lingua immaginaria? Oppure “I mostri sacri”, in cui a un certo punto Lenin, Joyce e Tristan Tzara si mettono a parlare per limerick in modo del tutto coerente alla trama? Se dall’originaria Cecoslovacchia fosse emigrato in Italia, Stoppard avrebbe ottenuto le prime pagine dei giornali solo firmando appelli contro questo e contro quello, oppure raccontando la propria lacrimevole storia vera di bambino in fuga dal regime. Invece è finito a Nottingham e, così, ha avuto agio di sperimentare senza venire ignorato dal pubblico. Avrebbe meritato il Nobel, ma è riuscito a ottenere molto di meglio: un Oscar.

Perchè l'europa deve investire sull'AI. La Lezione di Mario Draghi
14 ore fa | Lun 1 Dic 2025 13:19

Pubblichiamo per intero il discorso di Mario Draghi in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico del Politecnico di Milano il 1 dicembre del 2025.     Per oltre due secoli, il miglioramento del tenore di vita è stato alimentato da successive ondate di progresso tecnologico. Alla fine del XVIII secolo, le macchine a vapore  spinsero la rivoluzione industriale britannica. Nel XIX secolo, l’elettrificazione trasformò profondamente l’industria e la vita domestica. All’inizio del XX secolo, il processo Haber–Bosch estrasse fertilizzanti dall’aria, sostenendo un boom demografico; più tardi, il container rivoluzionò il commercio globale comprimendo drasticamente i costi di trasporto. Oggi la tecnologia rimane il principale motore della prosperità - ma con due sfumature cruciali. Primo: le economie avanzate non possono più fare affidamento soltanto sul lavoro o sul capitale per sostenere la crescita come un tempo - rendendo la tecnologia, semmai, ancora più centrale per la prosperità futura. Le nostre popolazioni stanno invecchiando e gran parte delle infrastrutture fisiche risale a decenni fa. Come mostrò Robert Solow a metà degli anni Cinquanta, una volta raggiunto questo stadio di sviluppo, la crescita di lungo periodo dipende in misura schiacciante dalla produttività - che, in pratica, significa nuove tecnologie e diffusione di nuove idee. Esiste un’illusione seducente secondo cui la crescita  sarebbe meno essenziale, una volta raggiunto un alto livello di sviluppo;  il calo della popolazione potrebbe  consentire un aumento del benessere anche se l’economia ristagna. Ma questo non è vero in generale e in particolare per i paesi che si trascinano un alto livello di debito.    Ciò che conta per la sostenibilità del debito è la dimensione complessiva dell’economia. Se l’economia smette di crescere mentre gli interessi continuano a maturare, il rapporto debito/Pil inizierà ad aumentare fino a diventare insostenibile. a quel punto, i governi sono costretti a scelte dolorose tra le loro ambizioni fondamentali: tra pensioni e difesa; tra preservare il modello sociale e finanziare la transizione verde. Inoltre la crescita è essenziale per affrontare le  nuove esigenze sociali, politiche, economiche, di sicurezza che si presentano continuamente a uno stato. Secondo: il ritmo stesso del cambiamento tecnologico sta accelerando. Resta aperta la domanda se le innovazioni di oggi eguaglieranno il potere trasformativo di quelle del passato. Ma ciò che determina la rapidità del loro impatto economico è la velocità con cui si diffondono nella società e su questa dimensione il mondo è entrato in un territorio inesplorato.   La rivoluzione industriale si dispiegò nell’arco di otto decenni; l’elettrificazione impiegò circa trent’anni per diffondersi nelle economie del mondo. Per contro, ChatGPT è stato lanciato nel novembre 2022 e nel giro di pochi anni gli investimenti globali nelle infrastrutture di IA  è previsto raggiungano diverse migliaia di miliardi di dollari. L’IA può essere “solo” uno strumento, ma ciò che la rende eccezionale è la sua capacità di diffondersi nell’economia in tempi molto più rapidi rispetto alle precedenti rivoluzioni tecnologiche.  Quindi  la divergenza tra i Paesi che abbracciano l’innovazione e quelli che esitano si allargherà sensibilmente e rapidamente negli anni a venire. È per questo che l’Europa vive oggi un momento di verità. Negli ultimi vent’anni siamo passati dall’essere un continente che accoglieva le nuove tecnologie, riducendo il divario con gli Stati Uniti, a uno che ha progressivamente eretto barriere all’innovazione e alla sua adozione. Lo abbiamo già visto nella prima fase della rivoluzione digitale, quando la crescita della produttività europea è scesa a circa la metà del ritmo statunitense, e quasi tutta la divergenza è emersa dal settore tecnologico.   Ora questo schema si ripete con la rivoluzione dell’IA. Lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno prodotto 40 grandi modelli fondamentali, la Cina 15 e l’Unione europea soltanto tre. E lo stesso schema si osserva in molte altre tecnologie di frontiera - dalla biotecnologia ai materiali avanzati fino alla fusione nucleare - dove numerose innovazioni significative e investimenti privati avvengono al di fuori dell’Europa. Se non colmiamo questo divario e non adotteremo queste tecnologie su larga scala, l’Europa rischia un futuro di stagnazione, con tutte le sue conseguenze. Considerato il nostro profilo demografico, se l’Ue mantenesse semplicemente il tasso medio di crescita della produttività dell’ultimo decennio, tra 25 anni l’economia avrebbe, di fatto, la stessa dimensione di oggi. Per decidere come reagire, dobbiamo innanzitutto avere una visione chiara di ciò che questa nuova ondata tecnologica - soprattutto l’IA - offre davvero. Trovarsi sull’orlo di una nuova rivoluzione tecnologica comporta inevitabilmente grande incertezza. Una valutazione lucida dell’IA deve riconoscere sia i rischi legittimi, sia i potenziali benefici significativi. Stime credibili suggeriscono che l’IA potrebbe innalzare in modo sostanziale il percorso di crescita delle economie avanzate. Se la diffusione dell’IA ricalcasse il boom digitale statunitense della fine degli anni Novanta, la crescita della produttività potrebbe essere più alta di circa 0,8 punti percentuali all’anno. Se seguisse la diffusione dell’elettrificazione negli anni Venti, il miglioramento potrebbe avvicinarsi a 1,3 punti. Anche la parte bassa di queste stime rappresenterebbe l’accelerazione più significativa che l’Europa abbia visto da decenni.    Ma a fronte di questo potenziale esiste un rischio reale di sostituzione del lavoro, aumento delle disuguaglianze e altri danni per la società quali frodi e violazioni della privacy. La storia economica indica che la disoccupazione di massa non è l’esito più probabile. Le precedenti rivoluzioni tecnologiche non hanno generato perdite occupazionali permanenti; nel tempo, sono nate nuove professioni, industrie e fonti di domanda. Ma la transizione raramente è lineare. La discontinuità colpisce in modo diseguale: alcuni lavoratori, mansioni e territori sopportano l’onere della sostituzione, mentre altri beneficiano in misura sproporzionata. E se l’IA rafforzasse dinamiche di mercato “winner-takes-most”, la distribuzione dei guadagni potrebbe diventare ancora più sbilanciata.    Vi sono tuttavia due elementi importanti. Primo: la velocità e l’ampiezza della sostituzione del lavoro non sono determinate solo dalla tecnologia, ma dalle politiche che vengono attuate dai governi: dipenderà dalle scelte che questi faranno se la prosperità creata con l’uso dell’IA verrà condivisa con tutti i lavoratori oppure, come sta avvenendo attualmente,  affluirà solo ad alcuni.  Il rischio di sostituzione è proporzionale alla rapidità con cui le imprese possono adottare nuove tecnologie, un fattore a sua volta influenzato da regolazione, connettività digitale, costo dell’energia e flessibilità del mercato del lavoro. Allo stesso modo, la capacità dei lavoratori di spostarsi verso nuovi ruoli dipende dai sistemi educativi, dai programmi di formazione e dalla capacità delle società di riqualificare rapidamente la forza lavoro. Secondo l’Ocse, la maggior parte dei lavoratori esposti all’IA non avrà bisogno di competenze tecniche specialistiche per trarne beneficio. Le competenze più richieste nelle professioni maggiormente esposte saranno legate alla gestione e all’ambito aziendale, abilità che milioni di persone possono acquisire con un supporto adeguato. Secondo: ciò che è spesso assente nelle discussioni sul tema è la considerazione di quanto queste tecnologie possano aiutare a ridurre alcune delle diseguaglianze che più  incidono sulla vita quotidiana delle persone. Prendiamo la sanità. Le differenze nei tempi di attesa per un intervento o nella rapidità con cui una persona viene visitata al pronto soccorso influenzano direttamente la percezione di equità. E tuttavia la tecnologia sta già contribuendo a ridurre questi divari. Uno studio negli Usa riporta che  strumenti di triage e gestione dei flussi basati su IA hanno ridotto i tempi di attesa in pronto soccorso di oltre il 55% portando al risparmio   di circa 200 ore-uomo al mese, da destinare all’assistenza dei pazienti. E nella diagnostica per immagini, altri  studi   suggeriscono che priorità basate sull’ IA potrebbero ridurre i tempi medi di refertazione dei casi più urgenti da circa 10–11 giorni a circa 3 giorni, consentendo diagnosi molto più rapide e un  servizio esteso a un maggior numero di pazienti.     La diseguaglianza è presente in maniera importante anche nell’istruzione. Oggi, una parte significativa dei risultati educativi dipende dal caso: dall’incontro con l’insegnante giusto al momento giusto; dal riconoscimento di un talento; dalla guida verso percorsi in cui uno studente può esprimersi al meglio. L’IA ha il potenziale per ridurre questa componente casuale. I sistemi di tutoraggio personalizzato possono adattarsi al ritmo e alle esigenze di ogni studente, offrendo in linea di principio a ogni bambino un accesso a un’istruzione di alta qualità. Uno studio recente mostra che gli studenti che utilizzano tali strumenti migliorano  la propria performance passando dal  35° al 60° percentile. I miglioramenti sono risultati doppi per gli studenti provenienti da contesti svantaggiati. Se sistemi come questi fossero adottati su larga scala nei sistemi pubblici di sanità e istruzione in Europa, genererebbero benefici sociali immediati. Queste e altre tecnologie non saneranno le società da tutti i loro guasti ma possono migliorarne lo stato di salute. Quanto, dipenderà in gran parte dalle scelte politiche che ne guideranno la diffusione. Giudicare e regolare in anticipo l’IA richiede di soppesare una vasta gamma di possibili esiti - economici, sociali, etici - in una situazione in cui la stessa tecnologia si evolve con rapidità.   Se c’è un filo conduttore nelle difficoltà dell’Europa a tenere il passo con il cambiamento tecnologico, è la nostra incapacità di gestire questo tipo di incertezza radicale. Per ragioni storiche e culturali, l’Europa ha spesso adottato un approccio improntato innanzi tutto alla cautela, radicato nel principio di precauzione: l’idea che, quando i rischi di una nuova tecnologia sono incerti, l’opzione più sicura sia rallentare o limitarne  l’adozione. Questo metodo può essere appropriato in ambiti chiaramente delimitati, come in alcuni settori della tutela ambientale. Ma è inadeguato per tecnologie digitali ad uso generale come l’IA, dove l’ampiezza - e la variabilità - degli esiti potenziali è enormemente maggiore. In tali contesti, i regolatori devono inevitabilmente formulare giudizi ex ante, assegnando pesi a rischi e benefici prima che i fatti siano pienamente noti. Semplicemente lasciare che nuove tecnologie si diffondano senza controllo, come accaduto con i social media, non è un’alternativa responsabile. Ma bloccare il potenziale positivo prima ancora che possa emergere è altrettanto sbagliato. Una politica efficace in condizioni di incertezza richiede adattabilità: la capacità di rivedere le ipotesi, riequilibrare quei pesi, adeguare rapidamente le regole man mano che emergono evidenze concrete, sui rischi e sui benefici.   Ed è qui che l’Europa si è inceppata. Abbiamo trattato valutazioni iniziali e provvisorie come se fossero dottrina consolidata, inserendole in leggi estremamente difficili da modificare una volta che il mondo cambia. Prendiamo il Gdpr, varato nel 2016.  Ha attribuito un peso molto elevato alla privacy rispetto all’innovazione. Ma l’equilibrio individuato nel 2016 continua a vincolarci nel 2025, anche se la frontiera tecnologica è avanzata molto più rapidamente del quadro regolatorio e i costi economici di questo approccio sono sempre più evidenti. Studi mostrano che il Gdpr ha penalizzato soprattutto le piccole imprese tecnologiche europee diminuendone i profitti  di circa il 12%, ha aumentato il costo dei dati di circa il 20% rispetto ai concorrenti statunitensi e ridotto gli investimenti di venture capital nel settore tecnologico europeo di circa un quarto. E’ come se  alla prima scossa elettrica i nostri antenati avessero deciso di limitare  l’elettricità stessa, invece di progettare impianti e standard di sicurezza che consentissero  alla società di sfruttarne il potenziale trasformativo. E tuttavia, nonostante queste condizioni, l’innovazione non è scomparsa dall’Europa. Secondo molti indicatori di produzione scientifica, le istituzioni europee nel loro insieme eguagliano - e in alcuni settori superano - il volume della ricerca statunitense. Nelle richieste di brevetto internazionali, l’Europa  rappresenta circa un quinto delle richieste globali, leggermente più del Nord America, anche se molto dietro l’Asia.   Ma  alcune delle regole che ci siamo dati ostacolano la fase successiva all’innovazione  soprattutto per le imprese giovani, che non dispongono delle risorse necessarie per affrontare la complessità giuridica e la frammentazione nei  mercati dei ventisette paesi membri.  Gli europei che vogliono muoversi rapidamente - e che comprendono l’eccezionale velocità dei cicli di innovazione di oggi - vanno dunque all’estero per costruire e crescere. Oggi, quasi due terzi delle start-up europee si espandono negli Stati Uniti già nella fase pre-seed o seed (pre avviamento o avviamento), rispetto a circa un terzo di cinque anni fa. Il primo passo per riportare l’Europa sulla strada dell’innovazione è quindi cambiare questa cultura della precauzione: ridurre l’onere della prova che imponiamo alle nuove tecnologie e attribuire al potenziale dell’IA lo stesso peso che attribuiamo ai suoi rischi. Ma soprattutto occorre agilità nel saper riconoscere quando la regolamentazione è stata resa obsoleta dagli sviluppi della tecnologia e cambiarla rapidamente.   La buona notizia è che questo cambiamento è già iniziato. Il rapporto sulla competitività europea pubblicato lo scorso anno ha analizzato in profondità le barriere strutturali che impediscono all’innovazione di radicarsi in Europa, evidenziando le cause della nostra perdita di posizione nei settori tecnologici chiave. Oggi molti leader europei condividono questa diagnosi. Sempre più riconoscono che - ben lontani dal definire uno “standard d’oro” globale nella regolazione della tecnologia - abbiamo spinto l’innovazione altrove e accresciuto la nostra dipendenza da chi guida lo sviluppo. Di conseguenza, la Commissione ha iniziato a rivedere alcune delle normative più controverse, con l’obiettivo di ripristinare un migliore equilibrio. Ad esempio, con il prossimo pacchetto “Digital Omnibus”, propone una definizione più flessibile di dato personale per l’addestramento dei modelli e ha già rinviato alcune delle disposizioni più severe relative ai sistemi di IA ad alto rischio.   Ma questo è solo l’inizio. Anche se l’Europa eliminasse tutte le norme che hanno frenato l’innovazione, questo da solo non chiuderebbe il divario. La domanda decisiva è cosa faremo con la libertà che riconquisteremo. La ricerca mostra che i sistemi di innovazione più efficaci  hanno in comune alcune caratteristiche fondamentali. Le istituzioni pubbliche svolgono un ruolo centrale finanziando la ricerca di base in aree in cui gli incentivi privati sono deboli, facendo scelte rischiose e coraggiose puntando su idee che  hanno però un alto potenziale di rendimento. Le università e gli istituti di ricerca a loro volta utilizzano  quei finanziamenti per conseguire  progressi scientifici, portando  dei  concetti nuovi  fino  alla loro applicazione concreta.L’  impresa privata porta poi  queste idee al traguardo finale: ne amplia la dimensione, le commercializzano e le traducono in guadagni di produttività. Si pensa spesso che il motore di questo ciclo sia il settore della difesa, il famoso “modello DARPA”. Ma negli Stati Uniti sono le agenzie scientifiche civili, come i National Institutes of Health e la National Science Foundation, i cui finanziamenti risultano maggiormente correlati ai miglioramenti di produttività nel medio periodo. I brevetti collegati a tali finanziamenti pubblici rappresentano solo il 2% del totale, ma spiegano circa  il 20 percento dell’ incremento  della produttività.   L’Europa ha tutto il potenziale per raggiungere risultati analoghi. Il sistema universitario europeo offre una istruzione di alta qualità a un grandissimo  numero di studenti, ma stenta ad affermarsi tra i leaders della ricerca a livello mondiale, dove primeggiano Cina e Stati Uniti. Non credo dovremmo abbandonare il nostro modello, ma effettuare alcuni interventi efficaci.L’Europa non difetta di finanziamenti per la ricerca rispetto ad altre regioni. La spesa pubblica in R&S nell’UE, in percentuale del Pil, è paragonabile a quella degli Stati Uniti. Il problema è che solo circa il 10% di questa spesa avviene a livello europeo, dove potrebbe essere destinata a grandi programmi di  trasformazione dirompente. Un miglior   coordinamento è quindi essenziale per avvicinarsi alla frontiera globale. Per questo il Rapporto sulla competitività europea ha proposto  il raddoppio del bilancio per la ricerca fondamentale attraverso lo European Research Council , raccomandazione che la Commissione Europea ha inserito nella sua propoposta di bilancio. Secondo: in Europa abbiamo politecnici universitari  eccellenti, come  la vostra Università, ma dobbiamo  fare in modo  che dispongano delle risorse necessarie per condurre ricerca di livello mondiale e  per attrarre i migliori talenti.   L’Ue destina una quota più elevata dei fondi pubblici per R&S all’istruzione superiore rispetto agli Stati Uniti—56% contro 32%—ma le università statunitensi dispongono comunque di budget di ricerca complessivi molto più ampi, grazie alla combinazione di finanziamenti pubblici e ingenti dotazioni private e filantropiche. In Europa, anche le università più grandi dispongono di budget di ricerca pari a qualche centinaio di milioni di euro, mentre negli Stati Uniti alcune singole istituzioni investono oltre 3 miliardi di dollari l’anno in R&S, e circa 30 università superano la soglia del miliardo. La differenza è strutturale. Negli Stati Uniti, i donatori privati hanno forti incentivi, riconoscimento pubblico tramite cattedre e laboratori dedicati, e cospicue detrazioni fiscali. In Europa, invece, le università spesso mancano della stessa flessibilità nella raccolta dei fondi. In molti paesi, le donazioni non sono pienamente deducibili, e le istituzioni accademiche affrontano vincoli nell’utilizzo dei fondi privati, soprattutto per offrire retribuzioni competitive ai migliori ricercatori. Rendere le Università più autonome nella raccolta  e nell’utilizzazione dei fondi, sostenere il finanziamento privato a favore delle università e dei centri di ricerca pubblici, concentrando le risorse per creare veri centri di eccellenza è essenziale se l’Europa vuole competere a livello mondiale.   Il rapporto sulla competitività europea  ha proposto l’istituzione di un programma altamente competitivo per favorire l’emergere di istituzioni di ricerca di livello mondiale—un “ERC per le istituzioni”. Ha inoltre raccomandato la creazione di un nuovo schema di “Cattedre Europee”, finanziate direttamente dal bilancio UE, per offrire ai migliori ricercatori posizioni stabili e attrattive in settori strategici.  Come ha recentemente osservato il Presidente dell’ERC, l’Europa potrebbe diventare un “rifugio” per i ricercatori statunitensi che oggi affrontano restrizioni sui finanziamenti e sulla libertà accademica, ma solo se creeremo le condizioni per attrarli. Terzo: esiste un enorme margine per migliorare la commercializzazione della ricerca di base. Sebbene le università europee generino un ampio volume di brevetti, solo circa un terzo delle invenzioni brevettate viene effettivamente commercializzato. Questo divario deriva da varie debolezze strutturali: regole poco chiare sulla proprietà intellettuale; scarsa integrazione in cluster dove start-up, grandi imprese e venture capital possono rafforzarsi reciprocamente; e barriere che rendono difficile la crescita per le imprese  più giovani. Chiarire la proprietà intellettuale, consentire a fondi pensione e assicurativi di investire nel venture capital e creare un autentico “ventottesimo regime” per le imprese innovative rafforzerebbe in modo significativo l’ecosistema europeo dell’innovazione.   Una riforma chiave sarebbe una versione europea del Bayh–Dole Act, approvato negli Stati Uniti nel 1980, che consentì alle università di possedere e concedere in licenza invenzioni derivanti da ricerca finanziata con fondi federali. Nei due decenni successivi, la brevettazione universitaria negli Usa aumentò di circa dieci volte e nacquero migliaia di imprese provenienti dalle università. Alcuni paesi europei come la Germania e la Danimarca si sono dotati di strumenti analoghi, ma disporre di un quadro europeo potrebbe accelerare la commercializzazione della ricerca specie in vista degli interventi di completamento del mercato unico. Queste riforme sarebbero particolarmente efficaci qui in Italia, dove il tessuto imprenditoriale è molto più dinamico di quanto suggeriscano alcuni stereotipi. Tra i Paesi europei che ospitano il maggior numero di imprese con i più alti tassi di crescita annua nell’ultimo decennio, l’Italia è al primo posto con 65 imprese. E Milano è al terzo posto tra tutte le città europee, con 11 imprese ad alta crescita. Nessuna di queste riforme richiede ingenti nuove spese. Richiedono coordinamento,  focalizzazione e fiducia nei nostri scienziati e imprenditori.   Mentre iniziate il vostro percorso universitario, è naturale chiedersi quale sarà il vostro ruolo - come scienziati e innovatori di domani - in questa trasformazione. Avete la fortuna, e il talento, di iniziare la vostra carriera al centro di una rivoluzione tecnologica. Questo vi pone in una buona  posizione  per affrontare l’incertezza che inevitabilmente l’accompagna. Ma vi incoraggio a non considerare l’incertezza come qualcosa da evitare. Anche all’interno della tecnologia, alcune categorie professionali - in particolare le posizioni junior nel coding in settori esposti all’IA - stanno cambiando rapidamente. In un mondo così, il percorso più sicuro non sarà quello più prevedibile. Sarà quello che vi rende produttori di idee e che vi dà  la libertà di adattarvi mentre la tecnologia evolve. Questo percorso passa anche attraverso l’imprenditorialità. Vi invito inoltre a riflettere su come possiate contribuire a rendere il vostro Paese - e il vostro continente - un luogo in cui l’innovazione possa prosperare di nuovo. Siete già stati formati da una società che ha investito in voi: da famiglie che vi hanno sostenuto, da insegnanti che vi hanno stimolato e da istituzioni pubbliche che vi hanno dato l’opportunità di apprendere e sviluppare i vostri talenti. È un debito di gratitudine che tutti portiamo con noi. Ripagare questo debito non significa che dobbiate tutti rimanere in Italia, o in Europa. La tecnologia è globale, e il talento va dove ha le migliori opportunità. Ma non rinunciate a costruire qui: pretendete di avere le stesse condizioni che permettono ai vostri coetanei di avere successo in altre parti del mondo, combattete gli interessi costituiti che vi opprimono, che ci opprimono. I vostri successi cambieranno la politica più di qualunque discorso o rapporto , costringeranno regole e istituzioni a cambiare. L’ Europa tornerà a essere un magnete per capitale e talento. La voce di chi vuole che l’Europa si rinnovi suonerà sempre più forte. Nel nostro tempo, questo è ciò che significa servire il proprio Paese. Quando incontro giovani scienziati e imprenditori in tutta Europa, vedo questo modo di pensare emergere. Vedo una generazione determinata a usare le proprie competenze con responsabilità. E vedo una convinzione crescente che questo futuro possa—e debba—essere costruito qui.

David Neres ha finalmente capito il vento di Napoli
14 ore fa | Lun 1 Dic 2025 13:12

Quegli occhi con la palpebra calante così simili a quelli dei sognatori sembrano, spesso, vagare lontano, in un altrove onirico, fatto di altri paesaggi, altri suoni, altre abitudini. Sono occhi che cercano una felicità che non sembrano trovare, che contagiano il sorriso trasformandolo in broncio. Che si esprimono in movimenti sempre veloci e, quasi sempre, sfuggenti, anch'essi alla ricerca di qualcosa che sembra non raggiungibile. David Neres spesso vaga lontano, in preda a venti e onde che quasi tutti (tutti?) non riescono a vedere, che nemmeno il suo allenatore, Antonio Conte, riesce a percepire. È un tipo strano il brasiliano, capace di scrivere poesie calcistiche con i piedi, ma un verso alla volta, con una calma quasi snervante, dedicandole al mare che ha davanti senza mai riuscire a raggiungerlo, quasi con la paura di mettercisi a sedere davanti e guardarlo. Figurarsi di salire su di un'imbarcazione per accarezzarlo. Per quasi un anno l'ha provato ad avvicinare senza riuscirci, trovando solo nel "freddo" dello scorso inverno napoletano il modo per guardarlo senza timore, seguendo così una direzione in qualche modo simile a quella di tutti gli altri suoi compagni. Le onde non portano però mai al largo, conducono sempre a riva, qualunque essa sia. È il vento che frega. David Neres ha però trovato quello buono. E poco male se non è riuscito a trasformare in sorriso quel broncio di perenne insoddisfazione, quanto meno è riuscito a soffiare nella stessa direzione dei compagni. David Neres si è trasformato da parvenza in presenza in questo Napoli, consapevole che ogni tanto serve riconnettersi al mondo, lasciare andare i sogni e riaffacciarsi con la realtà, non per cercare di migliorarla o cambiarla, solamente per dare nuovo carburante alla macchina dei sogni. David Neres si è messo, forse per la prima volta, davvero in connessione con i compagni, ha trovato, dietro al corpo immenso di Rasmus Højlund, un altro essere alieno al calcio come lui, quel Noa Lang che farebbe volentieri il cantante invece di giocare a pallone, ma giocare a calcio gli viene sufficientemente bene da mettere in banca abbastanza soldi per garantirsi un futuro tranquillo per fare la musica che vuole senza assilli.     Nella trequarti senza patria del Napoli, il brasiliano ha trovato dimora e dimensione, si è avvicinato alla porta e ha iniziato a gonfiare la rete. Soprattutto ha trovato un senso al suo vagare senza senso almeno apparente. Ma non è colpa sua, è colpa del campo che spesso non capisce i sognatori.          Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

Napoli, Bologna, Torino e le altre: i passi indietro dei comuni sulla cittadinanza onoraria a Francesca Albanese
15 ore fa | Lun 1 Dic 2025 11:54

Ci avevano scommesso tutto e ora si fa la gara a dissociarsene. Dopo l’irruzione violenta dei Propal nella sede della Stampa di Torino, le parole di Francesca Albanese sono tornate al centro delle polemiche e stavolta (quasi) tutte le forze politiche ne hanno preso le distanze. “Condanno la violenza, ma che sia di monito perché (la stampa, ndr) torni a fare il proprio lavoro”, ha detto la relatrice speciale Onu. "Dovete tornare a fare informazione per i cittadini e non per gli interessi economici che sono dietro a chi ha acquistato le vostre testate", ha detto a margine del convegno 'Rebuild Justice-Ricostruire la giustizia' all'Università di Roma Tre. "È ovvio che condanno la violenza, ma condanno anche voi giornalisti che ignorate, oggi sfogliavo le pagine dei giornali e non si parlava di quello che è successo a Genova, con migliaia di persone in piazza". Parole che hanno sollevano critiche trasversali, dalla premier Giorgia Meloni al capo delegazione Pd all'Europarlamento, Nicola Zingaretti, fino al presidente dell'Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli. Dai report su Gaza che l'hanno resa famosa fino alle ultime dichiarazioni, passando per il rimprovero al sindaco di Reggio Emilia, qualcosa è cambiato anche nei rapporti di Albanese con le amministrazioni comunali sparse per il paese. Se prima facevano a gara per conferirle la cittadinanza onoraria, oggi molti comuni esprimono apertamente il rimorso per avere approvato quelle mozioni, mentre altre avevano già messo in pausa le loro decisioni fin dall'inizio.      Come avevamo raccontato sul Foglio, un caso particolare si era registrato nel consiglio comunale di Torino, guidato dal centrosinistra. Il 15 settembre la proposta da parte di una consigliera del M5s di conferire alla relatrice Onu la cittadinanza onoraria, aveva visto l’iniziale adesione del Pd e di Sinistra ecologista. Il 31 ottobre, una volta che la mozione è arrivata alla conferenza dei capigruppo per calendarizzarne la votazione, la proposta si è arenata. A sfilarsi è stato proprio il Pd, forte dell’appoggio della sinistra – tranne che del M5s. L’incertezza sul contenuto e sui voti necessari (e mancanti) per far passare la mozione ha fatto desistere il sindaco dem Stefano Lo Russo dal portarla in Aula. Lo stesso Lo Russo ieri ha stigamatizzato le parole di Albanese: “Grave che di fronte a un atto violento del genere qualcuno arrivi a suggerire che la responsabilità sia anche solo in parte della stampa”.    Pure Bologna volta le spalle a Francesca Albanese. Proprio da lì, dove la relatrice speciale era più apprezzata, arrivano le accuse più pesanti. Dal sindaco Matteo Lepore, che prende le distanze ("Nessuna causa giusta – ha detto – può giustificare la violenza contro il giornalismo e contro nessuno"), al deputato Pd Andrea De Maria che giudica le parole della relatrice Onu “incompatibili con la storia di Bologna, medaglia d’oro della Resistenza”. Dello stesso avviso il segretario del Pd bolognese, Enrico Di Stasi. E poi ci sono i consiglieri dem, che oggi si scusano aver votato in passato la mozione per conferire ad Albanese la cittadinanza onoraria: Filippo Diaco ha ammesso sui social di aver sbagliato a sostenere la concessione della cittadinanza, mentre Cristina Ceretti, già dubbiosa al momento del voto, afferma che oggi non confermerebbe quella scelta. A rafforzare questa linea anche l’eurodeputata Elisabetta Gualmini, che ha ricordato di essere stata fin da subito contraria all’onorificenza.     A Firenze, invece, si attendono sviluppi. La discussione sulla proposta di cittadinanza onoraria alla Relatrice speciale Onu, portata avanti dal consigliere di sinistra Dmitrij Palagi, era stata convocata in un primo momento mercoledì 8 ottobre, pochi giorni prima delle elezioni regionali del 12 e 13 ottobre. Ma la commissione era stata annullata la mattina stessa per problemi personali della presidente. Secondo la destra, la maggioranza si sarebbe spaccata sul voto a pochi giorni dal voto e per questo hanno preferito congelare la proposta. In ogni caso, l’ultima parola si avrà il 3 dicembre, quando la seduta della commissione “Pace e diritti umani” si riunirà per decidere le sorti della mozione.    A Napoli, la questione si è fatta personale. Il Consiglio comunale aveva votato ad agosto la mozione per conferirle l’onorificenza, ma questa non è ancora diventata effettiva. A mancare è la delibera di Giunta, atto necessario per formalizzare il conferimento. Lo stesso Gaetano Manfredi, sindaco della città, intervenendo alla Festa dell'ottimismo, organizzata dal Foglio a Firenze l'11 ottobre scorso, aveva parlato di questa faccenda, dicendo che al momento “la proposta è ferma”. Ma a mettere nel cassetto la mozione sono state – proprio in quei giorni di inizio ottobre – le dichiarazioni infelici di Albanese, volte ad alimentare i classici e falsi stereotipi sul sud Italia: “Milano non è Napoli, lì si svegliano alle sei”, ritrovandosi al centro di una bufera dove la sinistra cercava goffamente di difendere la relatrice mentre la destra chiedeva di ritirare la mozione per conferirle la cittadinanza onoraria. Il risultato? Tutto bloccato.    Non sono mancati attriti e incomprensioni anche in comuni minori, come a Cuneo, dove la mozione è saltata per una questione di metodo: secondo la quasi totalità dei gruppi in consiglio, le proposte di conferimento della cittadinanza devono passare per la conferenza capigruppo. Mentre il relatore della richiesta, Claudio Bongiovanni, membro di una lista civica che orbita intorno alla sinistra (Cuneo Mia), voleva votarla direttamente in Aula. Niente da fare, anche qui tutto fermo.

Roma scala la classifica sulla qualità della vita, ma i giovani vivono peggio e si spende poco per la cultura
16 ore fa | Lun 1 Dic 2025 11:21

Nella classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita in Italia, Roma ha guadagnato tredici posizioni rispetto allo scorso anno piazzandosi 46esima. Nell'edizione che ha premiato Trento, Bolzano e Udine, la Capitale è riuscita a scalare cinquanta posti nell'indice "Ricchezza e consumi" e dieci per "Demografia e società" passando dalla 104esima alla 54esima posizione. Ma spulciando fra i vari indicatori usati dal Sole, lo scenario romano appare meno roseo di quel che sembra. La Capitale segna variazioni negative in quattro settori su sei. Quello peggiore è “Ambienti e servizi”, in cui Roma è crollata di 22 posizioni, arrivando al 69esimo posto. Si tratta del calo peggiore per la Capitale, che per quanto riguarda la qualità della vita dei giovani piomba addirittura all'ultimo posto su scala nazionale. Il valore in questo caso è di 361,3, ben lontano dai 500,1 della media. Rientra fra i primi cinquanta se si parla di bambini (dagli 0 ai 14 anni), mentre a vivere meglio sono gli anziani: per questo indicatore la città è al 63esimo posto.  Un over 65 romano, insomma, vive meglio e ha più soldi di un under 35. E la discrasia si appesantisce se si guarda al tasso di disoccupazione giovanile che si attesta a 23 punti percentuali, quasi due in più rispetto ai 21,1 della media. Parte della causa potrebbe trovarsi nei pessimi risultati registrati nella categoria “Imprese in fallimento”, dove Roma si posiziona 104esima su 107. Anche per l'innovazione imprenditoriale sembra esserci poco spazio, dato che le startup innovative sono calate del 5,8 per cento rispetto al 2024. Complessivamente sull'indicatore “Affari e lavoro” Roma perde cinque posizioni. Solo una in meno, invece, per quanto riguarda “Giustizia e sicurezza”. Magra consolazione, dato che la Capitale su questo fronte è fra i comuni peggiori: al posto numero 104 su 107. È la percezione della sicurezza ciò che spinge di più verso il basso: su questo fattore la Capitale è penultima in classifica con il 37 per cento di famiglie che si sentono in pericolo, ossia 20 per cento in più rispetto alla media nazionale. Pesano anche le denunce per danneggiamento (posto numero 100), calcolati sulle denunce ogni 100 mila abitanti, mentre è prima in classifica se si parla di reati legati agli stupefacenti con 106 denunce ogni 100 mila abitanti, più del doppio rispetto ai 49,1 medi. In generale, per quanto riguarda l'indice di criminalità, l'analisi segna oltre 6.400 delitti ogni 100 mila abitanti, ben oltre i 3.430,4 registrati mediamente.  Anche nella sezione "Cultura e tempo libero" Roma perde posizioni, scivolando dall'11esimo al 14esimo posto. Il dato peggiore riguarda la spesa per la cultura, tanto bassa da far precipitare la città dal secondo al 99esimo posto in soli dodici mesi, con una spesa di solo 5 euro pro capite per alcuni capitoli, meno della metà della media nazionale (13,9). Oltre ai temi più problematici, c'è una categoria in cui Roma si è piazzata prima: il reddito medio da pensione di vecchiaia che, secondo i dati Inps, è di 30.160 euro, mentre la media italiana si ferma a 22.765,4. Mentre è al secondo posto per l'Assorbimento del settore residenziale, la percentuale di metri quadri compravenduti rispetto a quelli offerti sul mercato con un 95 per cento rispetto al 70,9 della media nazionale. L'urbe, poi, si piazza all'11esimo posto per Reddito medio disponibile pro capite, capitolo in cui la città vanta 25.508 euro contro una media di 21.136,6. Nella sezione "Demografia e società", la Capitale, come dicevamo prima, è salita di dieci posizioni. Roma è seconda per quanto riguarda le persone con almeno un diploma, preceduta soltanto da Bologna. Inoltre, secondo l'Istat, a Roma e in provincia la percentuale di analfabeti o di persone con licenza di prima elementare o media è del 18 per cento, a fronte di una media nazionale del 25,6 per cento. Il dato sulla qualità della vita delle donne dimostra che a Roma rispetto allo scorso anno sono aumentate l'occupazione femminile (+1,3 per cento), le amministratrici comunali (+8,2 per cento) e le imprese femminili (+0,3). In generale, 13 posizioni in più sono un buon risultato per il Campidoglio, ma per numeri davvero soddisfacenti occorrerà aspettare ancora un po'.

Scritte antisemite sui muri della sinagoga di Monteverde a Roma. Tajani: “Basta antisemitismo, basta odio"
16 ore fa | Lun 1 Dic 2025 10:47

"Monteverde antisionista e antifascista" e "Palestina libera". Queste le scritte realizzate con bombolette spray nere sui muri della sinagoga Beth Michael di via di Villa Pamphili, nel quartiere Monteverde vecchio di Roma. È stata imbrattata anche la targa dedicata a Stefano Gaj Tachè, il bambino ucciso nell'attentato terroristico alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982. Gli attacchi vandalici arrivano all'indomani di una manifestazione pro-Palestina che si è svolta a Roma. "All'indomani dell'ennesima manifestazione pro Pal al Tempio di Monteverde è stata profanata la targa di intitolazione", ha detto il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun. "Il tutto si inserisce in un clima intimidatorio, come l'attacco alla sede de La Stampa di Torino. In generale l'antisemitismo è diventato uno strumento di contestazione politica – ha aggiunto – Confidiamo nelle forze dell'ordine e chiediamo un intervento forte del governo per fermare questa spirale d'odio".  "Contro ogni fantasma del passato, basta antisemitismo, basta odio", ha scritto su X il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, condannando la profanazione della sinagoga romana. "Ho telefonato a Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica della Capitale, per esprimere la mia solidarietà", ha concluso il leader di Forza Italia.

O Greta o Gerusalemme. L'attivismo interscambiabile di un mondo privo di significato
17 ore fa | Lun 1 Dic 2025 09:50

"Il mio paese è noto per i mobili Ikea, qualche tennista e, naturalmente, per gli Abba” scrive sulla Free Press la giornalista svedese Annika Hernroth-Rothstein. “Oggi, il nostro prodotto d’esportazione più famoso è Greta Thunberg, che era stata accettata da molti come una sorta di coscienza mondiale: una ragazzina che diceva la verità al potere. Thunberg è un fenomeno. Ma, cosa ancora più importante, è un caso di studio di ciò che è andato storto in Svezia e nel resto d’Europa negli ultimi decenni. E’ una bambina perduta in un continente perduto, entrambi alla disperata ricerca di uno scopo.               Ottant’anni fa, sulla scia della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, gran parte dell’Europa giaceva devastata. Con l’inizio degli sforzi di ricostruzione, si è aggiunta una resa dei conti ideologica e filosofica. Come continente, l’Europa si è chiesta come il male si fosse impossessato di lei e come garantire che non si ripetesse mai più. Come per ogni autopsia, la caccia era aperta per una causa di morte definitiva, un colpevole chiaro da incolpare per le atrocità della guerra mondiale. Accettare che persone apparentemente normali in circostanze straordinarie possano fare cose terribili è insoddisfacente. Significa accettare che ci sia del bene e del male in questo mondo e in tutti noi. Ecco perché l’Europa decise che il colpevole era l’ideologia stessa. L’ideologia, fondata sulla fede religiosa e su un’identità definita, portò alla formazione di stati nazionali, confini e divisioni tra luoghi, persone e credenze. Questo, secondo l’idea del dopoguerra, fu ciò che causò il conflitto. Pensatori come Hannah Arendt, Jean-Paul Sartre, Albert Einstein, Jacques Derrida e Michel Foucault descrissero il nazionalismo e lo stato-nazione come pericoli morali e politici, sostenendo l’umanesimo globale e mettendo in discussione l’idea stessa di fondare un’identità condivisa sulla fede religiosa e sul sentimento nazionale. I leader politici dell’epoca seguirono l’esempio: il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, il parlamentare europeo Altiero Spinelli e i politici francesi Robert Schuman e Jean Monnet sostennero l’idea di sostituire il nazionalismo con un’identità paneuropea, insieme a un ethos economico e culturale comune. E così un continente devastato dalla guerra, appena uscito da un conflitto globale su confini e identità, decise di abolire confini e identità, presumendo che questa sarebbe stata la strada verso una pace duratura. Questo gettò le basi per la successiva istituzione dell’Unione Europea nel 1993, sostituendo le singole nazioni con un’identità comune, quella europea. Gli anni successivi videro l’ascesa dello stato sociale in tutta l’Europa occidentale, con una forte componente filosofica che enfatizzava la responsabilità collettiva, la solidarietà e la giustizia sociale. Alla fine degli anni ‘60, le rivolte studentesche si diffusero in tutta Europa, fondendo anticapitalismo postcoloniale, antimperialismo, femminismo e umanesimo. Gradualmente, le giovani generazioni sostituirono le religioni del passato con l’ethos universalista. E il continente iniziò a considerarsi un modello per il resto del mondo: un’Europa senza confini, senza più nulla per cui combattere. Sulla carta, era il piano perfetto. Ma poi accadde qualcosa: si scontrò con la realtà. Quando la religione è stata espulsa dalle nostre vite, l’umanesimo e l’universalismo sono stati offerti come merce di scambio, creando un vuoto di fede e di significato – e vuoti, come sappiamo, che desiderano ardentemente essere colmati. Questo è accaduto in tutta Europa, ma forse in nessun luogo in modo più evidente che nel mio paese natale. Secondo l’European Social Survey 2023-24, meno del cinque per cento degli svedesi partecipa alle funzioni religiose almeno una volta alla settimana, una delle percentuali più basse al mondo. Dopo decenni di erosione ideologica e spirituale, la Svezia è ora un paese senza un Dio, un ethos nazionale o un senso di identità. Il paese in cui sono nata si rifiuta di sostenere qualsiasi cosa, e quindi cade in ogni cosa, ancora e ancora. Pensate alla crisi dei migranti. Nel 2015, la Svezia, un paese di dieci milioni di abitanti, ha accolto 163mila richiedenti asilo, provenienti principalmente da Siria, Afghanistan e Iraq. Nei successivi dieci anni, molti di questi immigrati non sono riusciti ad assimilarsi, causando  sconvolgimenti sociali ed economici. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che la Svezia non aveva un’identità nazionale. Non si può insegnare ciò che non si sa: questo è vero quando si cresce un figlio e quando si governa una nazione. A questo punto, la Svezia non è altro che una tenda aperta. Thunberg è un prodotto di questa nazione.  Questo fornisce un contesto al cambiamento ideologico di Thunberg, nell’ottobre 2023, dall’attivismo per il clima all’attivismo anti-israeliano, un cambiamento a cui si sono uniti migliaia di altri in tutto il continente. Israele rappresenta l’esatto opposto del vuoto che l’Europa ha creato. E’ uno stato-nazione orgoglioso, con confini, fede, ideologia, scopi e ideali espliciti. Israele è tutto ciò che l’Europa un tempo rifiutava. Il suo successo sarebbe la prova che il cambiamento europeo  è stato un fallimento, e lo è ancora. Ma Thunberg non si preoccupa di tutto questo. Il suo attivismo dovrebbe farmi arrabbiare, come ebrea svedese. Ma più di ogni altra cosa, mi spezza il cuore. Thunberg non è la malattia; ne è un sintomo, un sintomo del vuoto radicale che ora vediamo nelle nostre strade,  feed dei social media e nei nostri figli. Lo so perché anch’io un tempo ero una ragazza svedese persa, desiderosa di appartenere a qualcosa più grande di me, desiderosa di un significato, di una comunità e di uno scopo. Come esseri umani, aneliamo a queste cose. Quando cresciamo in un luogo che ci dice che i valori sono il nemico, facciamo amicizia nei posti sbagliati. Fino ai miei vent’anni, tutti i miei amici facevano parte di un movimento radicale, che fosse femminista militante, ambientalista o pro-Palestina. Questo rifletteva il clima politico europeo dell’epoca. E avrei continuato così se l’attacco terroristico dell’11 settembre non mi avesse risvegliato dal conforto della noia europea e non mi avesse spinto a tornare alla fede e alla famiglia. Il problema della ribellione è che ha bisogno di qualcosa contro cui opporsi. Quando non c’è nulla contro cui ribellarsi, nessuna norma da contrastare, nessuna idea da mettere in discussione, l’energia della ribellione continua senza senso all’infinito. Invece del dibattito,  rabbia infinita, e invece dell’ideologia, cause intercambiabili. Una volta finita la guerra, Thunberg passerà a un’altra questione. Dopotutto, è solo un segnaposto per un significato, un’inutile ideologia in un mondo privo di significato”.  (Traduzione di Giulio Meotti)

La terza via di Fabregas prova a scompigliare l'equilibrio delle nuove sette sorelle della Serie A
17 ore fa | Lun 1 Dic 2025 09:50

Quando il calcio degli anni Venti passerà alla storia, l’esegesi del futuro verterà attorno alla consolidata dicotomia tra giocare bene e vincere, tra costruzione dal basso (quasi un sinonimo, nelle intenzioni) e difesa serrata, integralismo e adattamento. Cercare una terza via è quasi una bestemmia, e considerato pericoloso: se si dimostra che i risultati passano da un gioco convincente, dominante, in grado di coinvolgere tutta la squadra, allora i “risultatisti” non hanno più alibi. È quello che spera di fare Cesc Fàbregas, eresiarca in servizio su quel ramo del lago di Como, che al modo del Manzoni prova a verificare la praticabilità di un modello quasi inedito agli alti livelli: singoli giocatori forti ma forse non così forti, tanto denaro a disposizione ma speso scientemente scovando l’elemento opportuno - ah quanti miliardari sono naufragati per incompetenza - e quindi le ali dell’entusiasmo, la vitalità di una piazza che ha il diritto di sognare ma il dovere di rimanere coi piedi per terra, l’undicesimo risultato utile consecutivo. Quante persone oggi se la sentono di scommettere che i lariani non andranno in Europa a fine anno? I Duran Duran all’apice cantavano “A smile that you can’t disguise / every minute I keep finding clues that you leave behind / Save me from these reminders”: ecco, i reminders sono tutte le volte in cui negli ultimi tempi è stato evocato lo scudetto per l’Atalanta di Gian Piero Gasperini, il Bologna di Vincenzo Italiano, come prima si faceva per il Parma di Nevio Scala dopo l’ultimo exploit doriano del 1991.        La costruzione di un amore si fa più vicina al vero, e a Como sanno che questo nuovo lunedì certo brilla per loro: ma conoscerà inevitabilmente il suo lato oscuro, quando lo vorrà il mercato (non quello dei calciatori) o se non si faranno bastare qualche gita nei tornei continentali.         Questioni che altrove sono derubricate da decenni a gestione quotidiana: vincere è la sola cosa che conta, ricorda Kenan Yildiz risolvendo sia le magagne di Champions League sia la rimonta contro il Cagliari. “Something like a phenomenon”, facile mutuare la hit di LL Cool J, mentre il garbuglio in vetta è tale da promettere di tutto.         Le nuove sette sorelle - con Bologna e Como in luogo, per ora, di Atalanta e Lazio - hanno staccato il resto della compagnia, Lautaro Martínez scava anche un piccolo break tra le aspiranti a coppe più o meno pregiate: eppure proprio le differenti maniere per affermarsi conciliano l’attitudine al pronostico, che secondo Gianni Brera sbaglia solo chi non fa.   E quindi, serenamente, una Roma che perde contro Inter, Milan e Napoli (per un grave vuoto difensivo) non può allo stato attuale rivendicare la maturità del filo dorato per cucirsi un pezzo di scudetto: si può piallare ogni ostacolo di dimensioni non proibitive, ma senza venire a capo delle presunte pari grado il destino è indirizzato. “Ho sempre avuto un sacco di sogni ambiziosi”, cantava Niccolò Contessa dei Cani in “Lexotan”, per poi “realizzare di non stare meglio per niente”: tra uno sbrocco e l’altro, il Gasp cercherà di far ricordare al famoso Ambiente Romano che nonostante tutto c’è una -pur inadeguata- felicità, di aver riportato il club almeno a giocarsela e a migliorarsi.       Stessi presupposti, ma probabile esito divergente per Massimiliano Allegri, che continua seguendo lo spartito delineato già la scorsa settimana: vittorie minime ma convincenti, Mike Maignan ai suoi livelli iniziali, ermetismo difensivo sigillato dalla forma di Fikayo Tomori, Matteo Gabbia e Strahinja Pavlović, centrocampo di qualità superiore (con Mattéo Guendouzi a schermare Luka Modrić, sale in cattedra il professor Adrien Rabiot), fasce che funzionano a meraviglia. Se Christian Pulisic e Rafael Leão non dovessero accusare altri stop, il futuro sorriderà ai rossoneri. Ma se Antonio Conte riuscirà ancora a vincere partite importanti in contropiede, il duello sarà servito. Chiusura inevitabile, come le quote popolari in voga un tempo al Totocalcio, per le ennesime insensatezze arbitrali: ormai le giacchette, quando vengono convocate al Var, sperano di dover sanzionare una situazione di fuorigioco per non dover dirimere riguardo episodi scabrosi (quanto accaduto in Milan-Lazio è in tal senso paradigmatico). “Welcome my son, welcome to the machine / What did you dream? We told you what to dream, you dreamed a big star”, attingendo ai monolitici Pink Floyd. Ecco, la speranza è che l’esito della Serie A non sia appeso alle macchine.              Quello che avete letto è Chiave di A - come suona il campionato, l'appuntamento del lunedì con Enrico Veronese e la sua recensione musicale della Serie A

Sergey Tihanovski, il dissidente bielorusso che sveglia l’occidente
18 ore fa | Lun 1 Dic 2025 09:42

"La politica è un affare sporco! Avreste dovuto essere pronti a tutto! Non ci sono regole!!. Questi avvertimenti provenivano dal leader della Bielorussia ai suoi oppositori politici quando si è presentato al centro di detenzione del KGB a Minsk dopo aver rubato le elezioni del 2020. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha parlato per cinque ore. Eravamo in dodici in quella stanza. Tutti arrestati con accuse inventate. Tutti condannati in seguito a pene detentive assurde e brutali. Due di noi erano candidati alla presidenza, io uno di loro”. Così Sergey Tihanovski, attivista politico ed ex candidato alla presidenza, sul Washington Post.   “Mi sono rifiutato di stringere la mano al ladro. Mi sono rifiutato di chiedere la grazia. Per questo, ho ricevuto venti anni di carcere. Se non fosse stato per la diplomazia poco ortodossa di Donald Trump, non starei scrivendo queste parole. Un incontro inaspettato a giugno a Minsk tra Lukashenko e il generale Keith Kellogg, inviato speciale di Trump in Ucraina, ha portato alla mia liberazione dopo cinque anni di isolamento. A quasi cinque mesi dalla mia libertà, mi sto rimettendo in pari con il mondo in cui sono rientrato. Il quadro è sconfortante. Il vecchio ordine globale si è dissolto. Stiamo assistendo a una Guerra Fredda 2.0 con tre teatri principali: Europa, medio oriente e Indo-Pacifico. In Europa, la gestione della guerra in Ucraina da parte dell’amministrazione Biden è stata esitante e reattiva. Gli aiuti sono arrivati insufficienti e troppo tardi; le armi sono state fornite a goccia a goccia e all’Ucraina è stato ripetutamente intimato di non colpire obiettivi all’interno della Russia. Il risultato è una guerra di logoramento che l’Ucraina non può vincere sul campo di battaglia, ma che potrebbe comunque vincere diplomaticamente. Gli Stati Uniti devono riscoprire il mix di deterrenza e coinvolgimento che un tempo caratterizzava una leadership americana di successo. Sarebbe giusto che l’Europa si assumesse maggiori responsabilità per la sua frontiera orientale, soprattutto ora che gli Stati Uniti sono sovraccarichi altrove. Ma senza la leadership americana, l’Europa fatica ancora ad agire con unità e determinazione. In medio oriente, Israele ha dimostrato la volontà di difendere la prima linea della civiltà occidentale".   "Gli avversari dell’occidente non sono solo la Russia, la Cina o l’Iran, ma anche forze interne che erodono la fiducia in se stessi e la chiarezza morale. Putin e Xi Jinping non sono legati dall’affetto, ma dalla comune opposizione all’ordine occidentale. Immaginate per un attimo che, nel 2020, quando il popolo bielorusso si riversò nelle strade chiedendo un cambiamento, l’occidente fosse stato preparato. Se la Bielorussia non fosse stata abbandonata a Lukashenko, Putin avrebbe dovuto affrontare un risveglio  ai suoi confini, che avrebbe potuto rimodellare gli equilibri  nell’Europa orientale prima che il primo carro armato russo entrasse in Ucraina. Per troppo tempo, l’occidente ha trattato la Bielorussia come un cuscinetto grigio tra la Russia e la Nato. Questa compiacenza è stata uno dei più grandi doni strategici del Cremlino. La finestra di opportunità si aprirà di nuovo. Quando ciò accadrà, gli Stati Uniti dovranno essere pronti. Il costo dell’esitazione non si misurerebbe in termini di influenza persa, ma nell’ulteriore disfacimento dell’ordine che l’America un tempo ha costruito”.  (Traduzione di Giulio Meotti)