Rassegna Stampa Quotidiani
Il Foglio.it
Perché Hamas sente di avere ancora potere negoziale
9 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:16

La parola “vittoria” riferita alla guerra a Gaza ha un suono muto. Non perché l'esercito israeliano non possa sconfiggere Hamas, ma perché ha già stabilito che ci sono zone della S... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Vita da fiume. Pescare tra i silenzi e i suoni ovattati del Tevere
10 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:15

A Roma la voce del Tevere non si sente. E’ un silenzio che attraversa la città. Eppure il Tevere parla, non ha una voce, ne ha tante. Tutte voci silenziose come lo scorrere delle acque del fiume. Le abbiamo ascoltate.           Giù dalla città, là sotto dove l’acqua scorre, c’è vita, anche se a guardare dall’alto dei ponti e dei muraglioni non ce ne si accorge. E’ vita raminga, silenziosa come il fiume. Che come il fiume non ha voce.   Non lo si sente il Tevere a Roma. Ben altri sono i suoni della Capitale, non certo quello del suo fiume. Quando il Tevere lo si ode è perché si è ingrossato, si è ribellato allo spazio che l’uomo gli ha concesso di malavoglia, ha deciso di riprendersi tutti quei luoghi che un tempo erano suoi o quanto meno alla sua portata.    Pure la vita là sotto dove il Tevere scorre è quasi sempre silenziosa. Quasi mai vista. E se viene notata è solo perché è successo qualcosa che l’ha strappata via dalle rive del fiume per porla di nuovo all’attenzione degli uomini. Accade poche volte però. Ogni volta che accade è sorpresa e raccapriccio, è qualcosa che non doveva accadere.    “Mi viene in mente Carlo Verdone quando in quel film (Gallo cedrone, nda) proponeva di asfaltare il Tevere per farne un’enorme superstrada”, ride.              Ride perché dal 1998, anno nel quale è uscita la pellicola a oggi non è poi cambiato molto. “Era una bella gag, ancora attuale, perché la considerazione che i romani, la maggior parte dei romani, ha del fiume è quella: il Tevere è un lungo impiccio che passa attraverso la città”, ci dice una delle voci silenziose del Tevere, uno dei non visti che sulle rive del fiume ha trovato la sua quotidianità.    Si chiama T., ma non esiste. Perché il Tevere non esiste.    “Sto qui, seduto su una sedia che un tempo chiamavano sedia da regista, di quelle pieghevoli. Sto qui e aspetto”.     Aspetta in silenzio, perché il silenzio è l’unica cosa che a Roma non c’è mai. Prepara la canna da pesca con cura, infilza l’esca all’amo. “Amo senza ardiglione perché se sto qui non è certo per i pesci. Nemmeno mi piace il pesce. Certo la zuppa di razza e broccoli mi piace, pure le alici e le sarde, ma il pesce di fiume... Mi fa senso solo a pensare di poterlo mangiare”.    Se si siede sulla sua sedia da regista con la canna in mano, se lancia la lenza è per altro. “Mi godo la quiete. Gli odori. Soprattutto i rumori ovattati che arrivano quasi per sbaglio quaggiù”, sino a mescolarsi con i silenzi. “Ho parlato troppo per troppi anni. Vivevo di parole, un sacco di parole e sempre le stesse. Ho fatto per trent’anni la guida turistica. Passavo dai Fori al Vaticano, dal Colosseo alle chiese del centro. Guida autorizzata eh, tutto in regola. La laurea non mi è servita per stare all’Università, però ho dato vita a quello che avevo imparato raccontandolo agli altri, a chi pagava per sentire le cose belle di Roma. Quello che fa ridere, che mi fa ridere ora ma che mi faceva incazzare un tempo, è che c’è chi paga una guida per farsi spiegare le cose e poi non la ascolta. Un po’ come il Tevere. Nessuno lo ascolta”.    Eppure appare in foto, in poster, in film. “Sì, ma l’occhio delle persone guarda il Cupolone non il Tevere. Il Tevere è un dettaglio di poco conto. Anche quando ce l’hai davanti in foto”.    In quel dettaglio di poco conto T. ha trovato un compagno di vita. “Lui e le lontre. Ce ne è una che ogni tanto si avvicina, ma sempre a più di un metro di distanza. Solo quando è inverno però, quando sono verso Ponte Sisto. In estate vado altrove. Qualcuno degli amici resta lì, io no, mi sposto più a nord. Perché ci sono le bancarelle, il casino. Da anni il Tevere s’è fatto notturno, ci sono i giovani che bevono, ballano, dicono che si divertono. Bah. Al fiume però danno solo un’occhiata. Anche a due passi dall’acqua i romani se ne fregano di lui”.    Le giornate di T. sono spesso infruttuose. “Qualche pesce lo prendo. Poi lo ributto subito in acqua. Mi scuso sempre con lui. E quando lo ributto in acqua mi chiedo sempre perché faccio sta cosa qui. Poi passa tutto. Rilancio la lenza, aspetto di nuovo. In fondo mi sento un po’ come il fiume. Un malinconico intralcio alla vita di Roma”.

L’ex premier portoghese Sócrates a processo a dieci anni dall’arresto 
12 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:13

Lisbona. Alla fine anche José Sócrates, primo ministro del Portogallo dal 2005 al 2011, ha il suo processo. La prima udienza si è svolta il 3 luglio, ora ci si porta avant... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Il futuro dell'edilizia è vivo, verde e mineralizzante
16 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:09

Immaginate che il cemento nelle mura nelle vostre, o che alcuni materiali di rivestimento o persino le tegole del vostro tetto siano vivi. Immaginate pure che, attraverso la fotosintesi, catturino anidride carbonica sottraendola all’atmosfera, e che inoltre la precipitino con altri meccanismi biochimici per rinforzare la propria struttura, formando minerali come quelli che potete trovare nelle montagne calcaree, disposti in una sorta di scheletro ben formato e dalle proprietà strutturali ben definite. Ora smettete di immaginare, perché questa idea, grazie alla collaborazione fra biologi, ingegneri dei materiali e architetti ha raggiunto la fase di prototipo: i dettagli possono leggersi su Nature Communications, ma più ancora alcune realizzazioni sono in esposizione fino a novembre nel nostro paese. Un gruppo di ricerca dell’Eth di Zurigo ha messo infatti a punto un materiale sorprendente: un gel stampabile “vivente” in cui sono inseriti antichissimi cianobatteri, capaci non soltanto di crescere autonomamente, ma anche di sottrarre CO₂ dall’atmosfera in duplice forma. Questi microrganismi sfruttano la luce solare per produrre biomassa e, contestualmente, modificano il loro ambiente chimico esterno, favorendo la precipitazione di carbonati minerali che imprigionano ulteriori quantità di carbonio in una forma stabile. Il gel, basato su idrogel ingegnerizzati appositamente per garantire permeabilità a luce, anidride carbonica, acqua e nutrienti, offre un habitat ottimale in cui le cellule si distribuiscono uniformemente e rimangono vitali per oltre un anno, mentre i depositi minerali rinforzano progressivamente la struttura, rendendola via via più solida. La peculiarità di questo “materiale vivo” è la sua capacità di stoccare CO₂ non solo attraverso l’accumulo di biomassa, ma soprattutto sotto forma di minerali: grazie al metabolismo dei cianobatteri, infatti, in più di 400 giorni ogni grammo di materiale è in grado di fissare circa 26 milligrammi di CO₂, una performance superiore a molte soluzioni biologiche attuali e paragonabile alla mineralizzazione chimica del calcestruzzo riciclato. Questa duplice forma di sequestro lo rende particolarmente interessante per applicazioni edilizie a basso impatto energetico, dove potrebbe fungere da rivestimento o componente strutturale capace di fissare carbonio per tutta la vita utile dell’opera. Per ottimizzare la vitalità e l’efficienza dei microrganismi, i ricercatori hanno sfruttato tecniche di stampa 3D per dare ai manufatti geometrie studiate per massimizzare la superficie esposta alla luce e favorire la distribuzione capillare dei nutrienti. Grazie a questi accorgimenti, le strutture mantengono una stabilità metabolica prolungata e si trasformano gradualmente da gel morbido a materiale più rigido, generando un’inedita sinergia tra biologia e ingegneria dei polimeri. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, apre quindi la strada a una nuova generazione di materiali che crescono e si autoriparano, integrando funzioni ambientali inedite. Il potenziale di questa tecnologia ha già attirato l’interesse del mondo dell’architettura: alla Biennale di Venezia è stata presentata l’installazione Picoplanktonics nel Padiglione Canada, dove moduli simil-tronchi alti fino a tre metri, costituiti dal gel vivo, agiscono da “mattoni” in grado di catturare fino a 18 chilogrammi di CO₂ all’anno, una resa paragonabile a quella di un pino ventennale in zona temperata. Il progetto, coordinato dall’architetta e dottoranda Andrea Shin Ling, ha richiesto un complesso lavoro di scala per adattare il processo di fabbricazione dai micrometri del laboratorio alle dimensioni architettoniche, garantendo condizioni controllate di luce, umidità e temperatura e un monitoraggio quotidiano delle colonie microbiche. Parallelamente, alla Triennale di Milano la mostra “We the Bacteria: Notes Toward Biotic Architecture” ospita Dafne’s Skin, un rivestimento interattivo progettato da Maeid Studio e dalla ricercatrice Dalia Dranseike, dove i microrganismi colonizzano le tegole lignee formando una patina verde scuro che evolve nel tempo. Questa “pelle batterica” non solo decora la superficie, ma la trasforma, trasformando un segno di degrado in un elemento estetico funzionale, capace di fissare CO₂ e di suggerire nuovi linguaggi per le facciate degli edifici. Entrambe le opere, fino a novembre rispettivamente a Venezia e a Milano, testimoniano come l’iniziativa Alive (Advanced Engineering with Living Materials) dell’Eth stia producendo i primi risultati tangibili. Più in generale, quelle opere indicano la strada per la realizzazione di una bellissima idea: costruire con materiali vivi, lavorabili a piacere, in grado di contribuire in maniera sostanziale al contrasto del cambiamento climatico e allo stesso tempo di contribuire materiali utili all’edilizia e in altri settori, sfruttando l’intersezione fra biologia, ingegneria dei materiali e architettura.

Quel Tour de France gregario di Romano Tumellero
20 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:05

Tour de France 1970. Il primo e ultimo di Romano Tumellero: “Avevo 22 anni, ero al mio secondo anno da professionista, correvo per la Ferretti, metà italiana e metà fra danesi e belgi, facevo il gregario. Per la classifica avevamo Gosta Pettersson, per le volate Albert Van Vlierberghe. E io dovevo aiutarli. Tappe e semitappe, Pirenei e Alpi, un caldo insopportabile. Di 10 compagni, arrivammo in quattro. Io novantatreesimo dei 100 arrivati dei 150 partiti, a quasi tre ore dal primo, neanche a dirlo, Eddy Merckx. Però ero contentissimo. Perché ce l’avevo fatta correndo sempre a testa bassa. Due volte fra i primi 10 di tappa, a quel tempo il piazzamento non significava nulla, per me contava il primo posto per essere felice, il secondo per essere infelice, il terzo per essere felice a metà. Adesso è diverso, due volte fra i primi 10 è qualcosa, è tanto, è un ricordo, anche un vanto”. Vicentino di Arcugnano, origini contadine, padre muratore, madre infermiera e poi in un cotonificio, due sorelle e un fratello maggiori, lui il quarto e ultimo figlio, terza media poi apprendista meccanico, serali abbandonate davanti alla possibilità di dedicarsi al ciclismo: “Dalle nostre parti c’è una base Nato, a quel tempo organizzavano corse libere, anche una cronoscalata a coppie, un americano e un italiano… Pedalavo nelle cicloturistiche, a un raduno a Novara un cugino corridore mi promise la sua bici, gli dissi che i miei genitori non mi avrebbero mai permesso di correre, lui insistette, quando avrai la bici – mi spiegò – sarà tutto diverso, mi spedì la bici, azzurra, da corsa, un po’ grande, ma mi sembrava bellissima. Aveva ragione lui: sarebbe stato tutto diverso, a cominciare dai miei genitori, che mi lasciarono fare”. Era Alfredo Martini il direttore sportivo di Tumellero in quel Tour: “Stavo facendo il servizio militare nella compagnia atleti a Milano, quando i miei genitori mi dissero che a casa era arrivata una lettera, quella della Ferretti. Andai a Monza, c’erano Martini e Fiorenzo Magni, lessi le condizioni, la cifra di ingaggio per un anno, che poi erano 10 mesi, e firmai. Non c’erano agenti né procuratori, non c’erano discussioni né contrattazioni. Se ti andava bene, firmavi, se no, no. Firmai. Martini, lo avrei scoperto facendo confronti successivi, era speciale: aveva per tutti, anche per i gregari, un’attenzione particolare. Chiedeva, ascoltava, osservava, incoraggiava. Per tutti gli altri invece noi gregari eravamo la ciurma: stare davanti, menare, chiudere buchi, era tutto quello che dovevamo fare, senza tanti commenti”. Una carriera lunga cinque anni illuminata da quattro vittorie: Coppa Sabatini e Trofeo Cougnet nel 1969, tappa al Giro di Romandia e al Giro d’Italia nel 1971. “E’ successo sempre tutto per caso. Avevo doti di finisseur, ma nessuno ha mai cercato di valorizzarle. Nelle giornate libere, seguivo l’istinto, facevo di testa mia. In Romandia c’era Michele Dancelli da solo davanti, scattai all’ultimo chilometro, mentre lo saltavo a velocità doppia mi pregò di aspettarlo, gli risposi di sì, ma ormai avevo già 10 metri di vantaggio. Stessa azione al Giro, scattando all’ultimo chilometro, ma stavolta davanti non c’era nessuno. Se fossi stato meno… polentone, se mi fossi chiamato Van Tumellero… avrei vinto di più. Come nel Campionato di Zurigo, ero in fuga, mi dissero di non tirare per facilitare il rientro di due compagni di squadra, Van Springel e Swerts, i due rientrarono, poi Van Springel scattò e vinse, io arrivai secondo, poi intervistato dalla Gazzetta dello Sport dissi quello che era successo e l’anno successivo non fui confermato. Mai dire la verità”. Tumellero, ci racconti qualche storia vera: “Una volta, alla Parigi-Nizza, sulla Croix-de-Fer mi trovai in fuga con Rik Van Looy, ma era una fuga dalla parte sbagliata, in coda alla corsa. Van Looy era agli ultimi fuochi della sua carriera, ormai più brace che fuoco. Mi squadrò, mi inquadrò, capì che ne avevo poca, allora mi fece un gesto, come dire ‘ci penso io’, si mise davanti, scandì il passo e arrivammo al traguardo entro il tempo massimo. Un’altra volta, in ritiro con la Molteni, da una parte Merckx, dall’altra Marino Basso, Basso era invidioso di Merckx, la prima mattina arrivò tardi all’appuntamento e Merckx aspettò, la seconda mattina arrivò ancora tardi e Merckx si innervosì, la terza mattina arrivò sempre tardi e Merckx se n’era già andato con i suoi gregari. Un’altra volta ancora, Giro d’Italia del 1969, tappa di Terracina, partii in contropiede, sul lungomare sbattei contro il vento, fui raggiunto da Claudio Michelotto e Wladimiro Panizza, perdemmo tempo a parlare, fummo inghiottiti da Merckx e gli altri, una foto mi ritrae mentre tagliavo il traguardo, settimo, e guardavo la tribuna che stava crollando, quel giorno, terribile, morì schiacciato un bambino”.

Non basta alzare le pene contro i femminicidi
23 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:02

La commissione Giustizia del Senato ha approvato all’unanimità un nuovo testo della legge sul femminicidio. Si tratta di una legge che ha il solo obiettivo di alzare le pene e ques... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Mezza discesa in campo e svolta a Mediaset. Parla Pier Silvio Berlusconi
24 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:01

"Forza Italia che va a sinistra? È una stupidaggine”. La risposta arriva così, senza esitazione, con quel tono sorridente e talvolta definitivo che Pier Silvio Berlusconi ha ormai ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Riaprite i manicomi
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

Preghiera per la riapertura dei manicomi. Per lo spostamento al chiuso, in luogo dove non faccia perdere il latte alle puerpere, del folle cavallo di plastica piazzato a Firenze in onore di Franco Basaglia. Per la damnatio memoriae di tale psichiatra, un utopista ovviamente di sinistra, perfettamente impermeabile alla realtà, che con la legge 180 ha inguaiato migliaia di famigliari di malati di mente che da allora devono improvvisarsi psichiatri domestici, e magari impazzire pure loro. La 180 fu un’idiozia squisitamente anni Settanta, pura ideologia, e così oggi se un figlio ha problemi di droga puoi mandarlo in comunità, se invece il problema è mentale la disgrazia te la tieni in casa. In tutto ciò, qualcuno ci marcia. Nel suo ultimo libro Alcide Pierantozzi scrive: “Noi matti non abbiamo solo il diritto di essere soccorsi dai sani, ma anche il dovere di inceppare ogni giorno il mondo per metterlo in discussione ai loro occhi”. Matti del genere non mi sembrano tanto matti, mi sembrano al contrario lucidi molestatori, oculati approfittatori. Sono vecchi bambini talmente superbi da pretendere che il mondo ruoti intorno a loro. Il diritto di essere soccorsi dai sani? Nessuno è sano, siamo tutti malati di qualcosa: la differenza è che noi antibasagliani ci comportiamo da adulti e cerchiamo di non pesare sul prossimo.

Tre vite, due guerre, le impiccagioni. Come a volersi staccare dalla terra
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

Oggi voglio scrivere di tre vite. Le loro storie sono conosciute, hanno incontrato un nuovo intreccio. La prima è appena avvenuta, a Carovigno, Brindisi. Mariia Buhaiova, ucraina, studentessa, era in Puglia per un’esperienza di lavoro turistico organizzata dalla sua università slovacca, e terminata. Aveva compiuto 18 anni da pochi giorni, senza festeggiare: era timida e riservata, hanno detto di lei i coetanei. Venerdì 4 luglio ha spedito per telefono 750 euro a suo fratello, ha lasciato nella sua stanza altri spiccioli, i documenti e un biglietto con i numeri dei famigliari da chiamare, e si è incamminata sola verso un terreno incolto poco distante. Ha portato con sé uno zainetto, c’era dentro un lenzuolo bianco, che sarebbe servito, dice qualche cronaca, a farla coprire da chi l’avesse ritrovata. Si è tolta le scarpe e si è impiccata a un albero. Con il lenzuolo, dicono altre cronache. C’è una sua fotografia sui giornali, l’avrete guardata.  Una storia straziante per chiunque. Io sono a Sarajevo, e andrò domani, 11 luglio – Ako Bog da, se Dio vuole, come si dice qua – a Srebrenica, per la commemorazione a trent’anni. E non posso mancare un ricordo, una storia straziante e famosa, ne scrissi tante volte. Il 17 luglio del 1995 dei bambini che giocavano in un bosco fra Srebrenica e Tuzla, giusto fuori dalla inutile base aerea delle Nazioni Unite, trovarono un corpo di donna appeso a un albero. Una donna giovane, con una gonna bianca e una maglia rossa, e i piedi nudi. La cintura e lo scialle le erano serviti da corda e cappio. Un freelance croato, Darko Bandicć, la fotografò, e la fotografia prese le prime pagine dei giornali del mondo con la didascalia senza nome: “La donna impiccata”. Solo più tardi si seppe. Aveva 31 anni, si chiamava Ferida Osmanovic. Si era sposata nel 1980, sedicenne, con Selman, più grande di sei anni, contadino, nel loro paese, Podševar, al confine con la Serbia. Ne erano fuggiti all’inizio della guerra, a Srebrenica, promessa come un rifugio protetto dall’Europa e dalle Nazioni unite, cui si erano affidate migliaia di famiglie. Quando Ratko Mladicć e i suoi arrivarono e gli ufficiali olandesi brindarono con lui e lasciarono il campo, Selman rifiutò di scappare, o forse lei non insistette abbastanza, non seppero immaginare che cosa stesse per compiersi, per lui e altri più di 8 mila uomini, dai ragazzi ai vecchi. Ferida andò via con le donne, e coi due figli, Damir, 12 anni, e Fatima, 9. La seconda notte, a sera si sdraiarono sulla strada, lei li coprì con delle coperte, augurò loro la buona notte. Più tardi, quando Damir si svegliò, sua madre non c’era più. La trovarono quegli altri, Damir e Fatima visitarono più tardi la sua tomba, videro che sul legno che la segnava era scritto solo “Impiccata”, scrissero il suo nome con un pennarello.   Ero allora a Sarajevo, arrivarono donne stremate che venivano da Tuzla, precedute da voci così spaventose che si stentava a crederle. Dicevano che avevano trucidato tutti gli uomini, migliaia, che avevano stuprato le giovani, che le avevano cacciate. Non le avevano risparmiate, al contrario. Si erano divertiti a mostrare che loro, le donne, non valevano niente, una volta trucidati i loro uomini.  La terza storia è anche lei famosa, ed è stata appena ricordata da tanti, come merita. È la vita di Alexander Langer. Il 3 luglio 1995 ha lasciato la casa fiorentina di Valeria e si è incamminato per il Pian dei Giullari, poco distante. Aveva comprato – a Firenze, lui di Vipiteno – una corda da montagna, aveva scritto i suoi biglietti. Dicevano che i pesi erano diventati per lui insostenibili. Non siate tristi, dicevano, “continuate in ciò che era giusto”. L’imperfetto per lui, il presente per chi restava. Aveva scelto un albicocco. Un albicocco in quei giorni è carico di frutti. Si era tolto le scarpe e si era impiccato. Riconsiderate la data: il 3 luglio, mancavano otto giorni all’inizio del mattatoio di Srebrenica. C’era stata una strage, orribile, a fine maggio, di 71 ragazzi che festeggiavano il loro diploma, a Tuzla, la città con cui Alex aveva più legato, e il suo amico sindaco aveva scritto a lui perché lo leggesse al parlamento europeo: “Se restate in silenzio, se anche dopo questo non agite con la forza come unico mezzo legale, allora senza alcun dubbio voi eravate e restate dalla parte del male, del buio e del fascismo”. È stupido e irrispettoso voler spiegare il suicidio di Alex, e tanto più volerlo spiegare con la disperazione per la tragedia impunita della Bosnia. Ma fra gli innumerevoli pensieri irrispettosi e stupidi che mi accompagnano da allora c’è anche quello, che forse, appena dieci giorni dopo, conosciuta Srebrenica, forse Alex… Erano queste tre vite. La guerra della ex Yugoslavia, quella d’Ucraina. Le impiccagioni. E i piedi nudi, come a volersi staccare meglio dalla terra. Soltanto per Alex l’albero ha avuto un nome, gli altri due sono restati, mi pare, anonimi, come se non fosse importante. Come se le coincidenze non fossero l’anima delle cose della vita e della morte, oltre che dei romanzi.

Rotondi (FdI): “Il voto in difesa di Ursula è un altro passo di Meloni verso i Popolari”
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

“L’evoluzione di Giorgia Meloni in questi anni è stata quella di chi ha insistito per formare un pensiero conservatore che però di volta in volta potesse avere punti di contatto, e anche di... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

"La Chiesa lavori per rinnovare la fiducia incrinata con il mondo ebraico", dice il teologo Gregor Maria Hoff
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

Roma. “Alcune dichiarazioni di Papa Francesco sono state inadeguate, altre inappropriate, perché il Papa, nella sua giustificata preoccupazione per tutte le vittime di questa guerra, non h... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Unicredit-Bpm, il giallo della lettera e lo scontro rinviato con l’Ue
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

Non c’è nessuna lettera in arrivo da Bruxelles che redarguisce il governo italiano per l’uso del golden power su Unicredit-Banco Bpm. Lo ha precisato una portavoce della Commission... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Spesa per la giustizia e stipendi delle toghe: la Commissione Ue smonta le fake dell’Anm
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

La Commissione europea ha pubblicato nei giorni scorsi il suo rapporto annuale sullo stato della giustizia nei ventisette paesi membri dell’Unione europea. Nonosta... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

A furia di circolari engagé, abbiamo allevato universitari squadristi
25 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 04:00

Quelli sì che sapevano il fatto loro: si trovavano in dieci, in venti, per pestare uno ed educarne cento. Beati katanga! A Venezia, invece, erano solo in quattro. Volevano far rinsavire a s... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Gualtieri si difende dagli attacchi della destra e punta al secondo mandato
29 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:56

“Vorrei un competitor, sennò mi annoio”: esterno notte, Terme di Caracalla, festa dell’Unità, 8 luglio. È il sindaco Roberto Gualtieri a parlare e soprattutto a rispondere agl... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Siamo stanchi di lavorare. Ma non è solo “burn out”
31 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:54

Ci dobbiamo tutti dare una calmata, con questa voglia di fare poco che ci è venuta. Si sente un malessere nell’aria – specialmente al lavoro, qualsiasi lavoro – che tutti fanno la corsa a battezzare. Coi nomi alle cose si sta più tranquilli, si sa. Lo sfastidio è grande sotto al cielo, ormai si parla quasi solo di quello, l’avrete notato anche alle vostre macchinette del caffè, tanto che il Time scrive il titolo: “Perché tutti sono così stanchi di lavorare?”. Siamo scocciati come tutti nella storia si son sempre scocciati di faticare, o è diverso? E perché ce lo ripetiamo ogni quindici minuti? La storia del burn out non convince, va avanti da troppo. Qui non c’entra lo stress, non abbiamo lo stress. O almeno è ai livelli soliti, non c’è nessun eccesso di carico mentale aumentato a dismisura in pochi anni. E’ una stanchezza più strutturale, mi sembra. Non guarisci con le vacanze o le dimissioni, inutile fare teatro organizzativo di welfare aziendale, ginnastica in pausa pranzo e vacanze tutti-insieme-noi-dell’ufficio-offre-l’amministrazione. La faccenda è più complicata di così. Il benefit che risolve il problema non esiste. La questione è il vecchio mondo che è logoro, e il nuovo ancora non ha i componenti a posto. E in mezzo ci siamo noi, flosci e in attesa non si sa di che. Dove viviamo adesso è una specie di binario morto. Abbiamo l’esaurimento esistenziale. E ci stanca non tanto perché è troppo ma perché è ancora troppo poco. Somiglia allo stato d’animo compresso e moltiplicato per mille che s’aveva quando a vent’anni innamorato e perduto aspettavi la telefonata e la telefonata non arrivava. Non potevi concentrarti su niente, una fiacca si impadroniva di tutto, fino alle ossa.  Negli ultimi vent’anni abbiamo preso i biglietti per il futuro nuovo, con una rivoluzione tecnologica dopo l’altra era chiaro che sarebbe arrivato. Ogni volta ci siamo detti: “Questa è quella che cambia tutto, ma proprio tutto”. Internet, i social, la superconnessione, il lavoro da remoto, l’intelligenza artificiale. Ma il risultato è che siamo sempre quelli di prima, solo più online e un poco più assenti nelle relazioni. Le perdite di tempo si sono moltiplicate, le energie si sono sparpagliate in mille videocall, mille finestre aperte, mille notifiche.  Non siamo in burn out, siamo annoiati dal presente. Siamo dentro la navicella spaziale ma i motori non partono. Il vecchio sistema è un tempo troppo caduto a pezzi per essere abitabile ma il tempo nuovo non è pronto, è uno scheletro, non ci si può entrare, mancano i muri, l’intonaco e le finestre, ci piove dentro. E’ come se fossimo tutti in attesa del grande reboot. Al momento giriamo in tondo, esausti dall’attesa. Non è cosa diagnosticabile, gestibile o già vista. La stanchezza di cui parliamo ora è un’altra cosa: è la stanchezza da sospensione. Il salto evolutivo non si riesce a fare tutto intero.  Negli ultimi anni ci siamo raccontati che ogni cosa stava cambiando, adesso ci raccontiamo che l’AI toglierà tutte le fatiche, che ci daranno tempo libero a quintali, il robot multifunzione che lavora al posto nostro, la macchina che guida sola, lo psicologo in chat. E mentre siamo lì, a far finta di crederci, qualcuno inizia a cedere. Gallup riporta che quasi più nessuno dei dipendenti si sente davvero convinto di quello che fa. Anche fuori dall’ufficio, gran peso e affaticamento. Sul New Yorker ho trovato un lungo e convincente paragrafo che si chiede se la capacità di lettura – quella continuata, lunga e concentratissima – sarà ancora realistico attendersela.  Per questo serve una calmata, ma proprio una calmata radicale. La verità è che non c’è ancora nessun nuovo mondo lì fuori, lo sbarco non sarà domani. La cosa è più lenta di come ci hanno promesso e ci sono buone possibilità che tutto resti com’è adesso ancora per parecchio tempo. Ti alzi, vai a lavorare, torni a casa, prepari la cena, un poco di televisione, ad agosto vacanze – e il mondo si divide in due, chi si lamenta e chi pensa “sono fortunato”.

Il gran modello Mattarella e Meloni contro la gnagnera anti Kyiv
31 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:54

Pensare a come ricostruire l’Ucraina è importante, e la Conferenza organizzata a Roma per ragionare non solo a chiacchiere sull’Ucraina del futuro è tutto tranne che un esercizio di retorica. Ma pe... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Riapre la Vela eterna di Calatrava
37 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:48

Era la grande incompiuta della città. Tanto che nei discorsi ricorreva come esempio di malagestione e abbandono. E intanto la Vela di Calatrava restava lì, come un... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Il ritorno con i segni della tortura. Come muore un prigioniero di guerra ucraino
38 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:47

Prima del  ritorno dalla prigionia nei campi di detenzione russi, Valery Zelensky aveva alle spalle una storia di eroismo e resistenza. Dopo il suo rilascio, forse dai tratti ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Lo scudo di Mattarella, 500 milioni per l'Ucraina, i volenterosi allargati agli Usa: ecco la conferenza per Kyiv
40 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:45

Scudo e bazooka. Per il primo occorre citofonare al Quirinale dove ieri pomeriggio il presidente ucraino Volodymyr  Zelensky  è stato ricevuto dal capo dello stato Sergio Mattarella. Cinq... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Il cortocircuito su Grok di Musk & co
41 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:44

Testo realizzato con Ai    Linda Yaccarino se ne va. Gentile congedo pubblico, ringraziamenti a Musk, e un Grok sempre più al centro della scena... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

L’ora di una escalation difensiva in Ucraina
41 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:44

Settecentoventotto droni e tredici missili in un unico giorno: è questo l’ultimo, osceno record della violenza di Vladimir Putin contro l’Ucraina delle ultime ore, poco dopo che il presidente ameri... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Gli stupri di Hamas e i depistaggi dell'Onu
41 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:44

“Un nuovo rapporto (pubblicato domenica sul Times) rivela che la violenza sessuale è stata diffusa e sistematica il 7 ottobre, qual è la tua reazione?”, chiede la giornalista di Sky News. “Guardi, ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Lo show di un Papa impegnato a far uscire la Chiesa dalla stagione del moralismo
49 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:36

Nietzsche, che era tutt’altro che uno stupido, scrisse da qualche parte che Cristo si era preso la punizione, invece avrebbe dovuto prendersi la colpa. Ma i pagani possono intuire ... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Dalle password alle app: ecco il vademecum anti hacker del governo a 3,2 milioni di dipendenti della Pa
54 minuti fa | Gio 10 Lug 2025 03:31

Le password da cambiare con una certa costanza, magari evitando date di nascita e nomi dei figli. E poi le applicazioni del lavoro – a partire dagli indirizzi email – che non devono essere istallat... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti