Rassegna Stampa Quotidiani
Il Foglio.it
Zelensky cerca di far capire che per fermare Putin servono i Tomahawk. Trump aspetta
5 ore fa | Ven 17 Ott 2025 18:59

Fra Donald Trump, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, soltanto il primo è convinto che ci siano grandi possibilità di far finire la gu... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Un posto al sole: Eduardo si scontra con i malavitosi
6 ore fa | Ven 17 Ott 2025 17:50

Gianluca viene assunto al Vulcano, e sembra cavarsela veramente bene e piacere a tutti. Alberto lo scopre per caso andando lì a pranzo con Luca. Ma mentre l’amico la prende benissimo, entusiasta che il ragno si sia dato da fare per lavorare, il papà invece resta deluso nel vederlo fare semplicemente il barista. Clara parla con signora Giulia e le racconta le difficoltà di Eduardo a rifarsi una nuova vita con l’ispettore di polizia che gli fa i dispetti. Signora Giulia chiede aiuto a Nico, che consiglia a Sabbiese di denunciare l’ispettore. Ma Eduardo ovviamente non ne vuole sapere, e così finisce per strada a fare a botte con i malavitosi che continuano a provocarlo. Guido nel frattempo ormai si è accasato il maggiordomo, che è davvero un maggiordomo: stira, pulisce, cucina, e gli fa i massaggi. E questo lo allontana per un po' da casa di Silva. Che però è felice di questa nuova situazione.

Difendere la libertà di Ranucci significa difendere la libertà di tutti
6 ore fa | Ven 17 Ott 2025 17:29

L’attentato subito da Sigfrido Ranucci, che avrebbe potuto avere esiti tragici su di lui e sulla sua famiglia,

Chiuso il tour invernale di Olly. Possiamo dirlo: è il più "vaschiano" di tutti
6 ore fa | Ven 17 Ott 2025 17:22

Si è concluso ieri sera a Napoli il tour invernale di Olly, che ha registrato tutto esaurito con due tappe a Genova, Milano, e Roma (c’era anche Mariaelena Boschi), dopo gli 80 mila sotto la pioggia dell’Ippodromo. E altre centinaia di persone sono rimaste fuori a ogni tappa perché truffati dai reseller. E il sold out già registrato per il tour primaverile nei palazzetti e le tre tappe allo stadio di Genova. Che non riapriva ai concerti da 21 anni dopo l’ultimo di Vasco. È il fenomeno musicale del 2025, ma non c’entra Sanremo, ed è destinato a durare.   Solo chi non lo aveva già sentito poteva dire che aveva vinto il festival perché sponsorizzato dalla sua manager Marta Donà. Striscia la Notizia ha marciato su questo complotto per settimane, dandogli il tapiro. Noi, che lo seguivamo da tempo, e ci eravamo accorti di ciò che stava accadendo nei social, ma soprattutto lo avevamo visto sul palco mangiarsi i club, su queste pagine avevamo già scritto che sarebbe stato il vincitore. Perché rappresentava il ritorno del maschio "etero". Dopo un periodo musicale occupato da artisti woke, fluidi, ipersensibili, iperimpegnati, iperdelicati, tutti politicamente corretti. Olly dopo anni, anzi, dopo Vasco, ha riportato sul palco, e sotto il palco, il maschio che sculetta, muove il bacino, mima gli amplessi, twerka, provoca sesso e libido. Finora lo facevano le donne, ora lo fa un maschio. E non è sessismo.   Tutte impazziscono, perché da anni anche sotto il palco non si trovano più etero così. E per lo stesso motivo piace anche e soprattutto ai maschi etero. Che finalmente possono finire di nascondersi. Olly è rock, pop, rap, e a tratti melodico. Duro come Vasco e profondo come De Andrè. Il concerto si apre con Albachiara e si chiude col Pescatore. E in mezzo ci ha messo anche Pino Daniele. Il segreto però è Genova. E si sente. Le canzoni ormai occupano le radio, e l’album ha sbancato tutte le classifiche. Ma sono le live, e i social, i veri posti dove si scatena il fenomeno Olly.   Su tiktok tutti, a qualunque età, cantano i suoi brani. E i live sono un delirio. Più che un concerto sono una festa collettiva, dove tutti sanno già le canzoni. Una cosa così l’abbiamo vista solo ai concerti degli Oasis. Lui sul palco si diverte e fa casino con i suoi amici: fumano, ballano, si scatenano, bevono e offrono da bere. E l’unica cosa che vorresti è far parte della sua comitiva. Solo chi non aveva visto la scena di "depresso fortunato" ha potuto creare la polemica estiva per il tavolo lasciato sporco al ristorante. E lui gli ha risposto dal palco modificando proprio il testo di quella canzone: "Il paese era incazzato, perché ho versato un po' di vino". Olly e i suoi amici, Juli, Gas Gas, e il grande capitano Alberto, sono così: se la godono e se ne fottono. Senza dare fastidio a nessuno, ma senza voler essere giudicati.   E questo il senso del brano più vaschiano di tutti: "così così": "Parlano, parlano, qua sono tutti geniali, tutti equilibrati, cattolici, cristiani, e sono tutte puttane tranne le loro mogli, le figli, le madri, ma dai. Qua sono tutti più bravi, noi ci pensiamo domani. Io me la vivo così. Che più fastidio vi do, più voglio starmene qui, Io me la vivo così, Che più mi dite di no, più voglio fare di sì, io me la vivo così". Finalmente abbiamo trovato un artista con cui si possono identificare, divertire, e scatenare tutti quelli che inneggiano alla libertà.

Così Orbán vuole spremere tutto il possibile da Trump e Putin
7 ore fa | Ven 17 Ott 2025 17:02

A Viktor Orbán non pare vero, nel giro di poche ore ha parlato al telefono con Donald Trump e con

Il richiamo di Mattarella e la contrattazione al ribasso che erode il lavoro
7 ore fa | Ven 17 Ott 2025 16:57

Nel giorno in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia per le Stelle al Merito del Lavoro, richiama il paese alla necessità di "governare i cambiamenti rispettando la giustizia e la persona", la nostra analisi scientifica conferma che nel sistema sindacale esiste una patologia che mina alla radice proprio questi principi: il dumping attuato tramite i "contratti collettivi pirata".   Mentre il dibattito politico si concentra spesso sulla lentezza dei rinnovi contrattuali o sul quantum salariale negoziato dalle grandi sigle, un fenomeno carsico sta erodendo il tessuto socio-economico del paese. Non si tratta di criticare la fisiologia del pluralismo sindacale, ma di denunciare una vera e propria "patologia" che utilizza il Ccnl non come strumento di tutela, ma come veicolo per una concorrenza al ribasso. Questa pratica, come emerge dai nostri recenti studi, crea una facciata di legalità che permette di ridurre drasticamente il costo del lavoro, danneggiando le aziende virtuose e, soprattutto, comprimendo i diritti di migliaia di lavoratori. È una "delocalizzazione, senza spostamento geografico", che contribuisce alla stagnazione salariale scollegando le retribuzioni da inflazione e produttività.   Per misurare e denunciare questa deriva, il Laboratorio sull'Equivalenza dei Ccnl del Centro di ricerca Crilda dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, coordinato da me e Claudio Lucifora, ha avviato un'opera di analisi. Il Laboratorio, che ha attivato una cooperazione scientifica conAnac e Consip S.p.A., ha sviluppato un modello rigoroso, il "Metodo Alfa". Questo metodo risponde alla sfida posta dal nuovo Codice degli Appalti che ha introdotto il concetto di "equivalenza delle tutele". Il Metodo Alfa supera la comparazione "ragionieristica" e analizza i contratti su due assi fondamentali, quello economico (la retribuzione annua lorda - Ral), quello normativo (un indice che valuta tutte le tutele non monetarie, tra cui malattia, ferie, permessi, welfare, previdenza, bilateralità).   I primi due studi verticali, condotti nei settori del Terziario e del Turismo, hanno prodotto risultati drammatici. Nel primo studio, che ha confrontato il Ccnl leader di Confcommercio con i contratti di organizzazioni minori, il dumping è palese. Uno dei Ccnl minori analizzati presenta un divario salariale di quasi 8000 annui, l'assenza della 14esima e tutele su malattia e infortunio drasticamente inferiori. Ancora più insidioso è il "dumping mascherato" da altri Ccnl minori. Qui la RAL è apparentemente allineata, ma le carenze normative sono gravissime: totale assenza dei permessi ROL, mancanza di un fondo di previdenza complementare/sanitario integrativo e tutele per malattia quasi inesistenti. Il secondo studio, che ha confrontato i Ccnl di Confesercenti con quelli due Ccnl minori, conferma la diagnosi. Tali Ccnl minori violano sistematicamente il requisito economico minimo: la RAL è significativamente inferiore. Il divario arriva al -30 per cento.   Sul piano normativo, si registra l'assenza totale di tutele fondamentali in materia di malattia, maternità, permessi ROL e bilateralità. Ciò non è un mero dibattito accademico. È la fotografia di un'erosione socio-economica. L'effetto di questa competizione sleale è la creazione di un doppio mercato del lavoro: lavoratori di serie A (protetti dai Ccnl più protettivi, delle organizzazioni più rappresentative) e di serie B (esposti al dumping, operato dai Ccnl minori). I dati Cnel sull'incidenza dei contratti collettivi mostrano un'Italia spaccata. Questa patologia ha una geografia precisa, concentrata nel Sud, ma in rapida avanzata ovunque. È la Calabria (11,3per cento) la regione più colpita, seguita da Sicilia (8,9 per cento) e Campania (8,5 per cento). Il dato più inquietante arriva da Vibo Valentia, con il "6,5 per cento, affiancata da Cosenza (13,5 per cento) e Palermo (1",8 per cento). Se il Nord, con l'1,5 per cento della Lombardia e l'1,3 per cento del Piemonte, appare oggi più virtuoso, il fenomeno è già in veloce espansione nei grandi centri urbani.   Per "governare i cambiamenti rispettando la persona", come chiesto dal Presidente Mattarella, non basta più solo indignarsi per il lavoro povero. Occorre contrastare con strumenti oggettivi, di nuova generazione, questa patologia che mina la concorrenza leale e la coesione sociale, riportando il Ccnl alla sua funzione originaria, cioè quella di togliere salari e diritti dalla concorrenza.   Michele Faioli è professore di Diritto del lavoro presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore

Cosa vuole Donald Trump in Europa
7 ore fa | Ven 17 Ott 2025 16:30

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Sabato e domenica nel Foglio. Cosa c'è negli inserti del fine settimana
8 ore fa | Ven 17 Ott 2025 16:11

Questo fine settimana nel giornale ci sono dodici pagine di inserto culturale. Ecco cosa trovate in edicola (e potete scaricare anche qui dalle 22.30 di venerdì). Che business, la pace. Donald Trump come i leader dell’antica Roma: vuole inaugurare l’età dell’oro, basta che il capitale ce lo mettano gli altri. Interesse strategici e guadagni privati, gli alleati in seconda fila e i dittatori corteggiati - di Siegmund Ginzberg   "Albanesi" all’Onu. Viaggio fra relatori e relatrici speciali, come la pasionaria italiana. Dalle università al Palazzo di vetro, terzomondisti al comando - di Giulio Meotti Il “Saggio” estero di Meloni. Chi è il consigliere diplomatico dalla cui scrivania passano tutti i dossier, da Gaza a Trump al Piano Mattei - di Marianna Rizzini La parola infame. L’inflazione linguistica intorno al genocidio. Così Lemkin arrivò a coniare il termine nel ’44, e qual è il dibattito nel diritto internazionale - di Maurizio Stefanini   La dolce vita di Alberto. A cinque anni dalla scomparsa dello scrittore, alla Festa del cinema di Roma un documentario su Arbasino - di Michele Masneri   Amico bulldog. Da lottatore truculento a clown bonario. Sembra letargico ma non gli sfugge niente. Così politici e celebrità si sono innamorati - di Francesco Palmieri   Ritratto di una matriarca. Dalle zie di Sciascia al nuovo romanzo di Giuseppina Torregrossa. Volti del comando femminile in Sicilia - di Maria Pia Farinella   Woody Allen, un genio in castigo. “Mi salva New York”. I trent’anni, ormai, passati al fianco di Soon-Yi, l’ostracismo dei salotti e del mondo del cinema dopo le accuse infondate nei giorni del MeToo. E ora, a novant’anni, l’esordio nel romanzo - di Antonio Monda   Cime incomprese. Tele, versi, spartiti. Quante opere hanno avuto bisogno di anni per farsi apprezzare. Fischi, fango e sberleffi per i poveri artisti - di Stefano Picciano   Quel bambinone di Falstaff. Così il personaggio di Shakespeare e Verdi trascende i generi per farsi emblema di dolcezza ed ebbrezza - di Damiano Michieletto   Nuovo Cinema Mancuso. I film della settimana, le serie del momento e i dietro le quinte raccontati da Mariarosa Mancuso

L'escalation di Vladimir Putin in Ucraina, da quando c'è Trump
9 ore fa | Ven 17 Ott 2025 15:17

Da quando il presidente americano Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca e ha promesso di mettere fine alla guerra in Ucraina, che "con lui non sarebbe mai iniziata", la Russia ha intensificato i suoi attacchi contro Kyiv: Mosca ha intensificato i suoi attacchi su Kyiv subito dopo colloqui o telefonate tra funzionari statunitensi, ucraini e russi, a dimostrazione del fatto che non è disposta ad alcun accordo di pace. I bombardamenti più intensi dall'inizio della guerra si sono verificati quest'estate, quando la Russia ha utilizzato droni e missili per colpire le città ucraine. Dopo che i funzionari russi si sono incontrati a maggio per i colloqui di cessate il fuoco a Istanbul, Mosca ha intensificato gli attacchi aerei. Dopo la telefonata fra Trump e Putin all'inizio di luglio, Putin ha detto a Trump che in Ucraina non ha voglia di fermarsi e infatti gli attacchi sono tornati a intensificarsi. Meno di una settimana dopo la chiamata, la Russia ha lanciato 728 droni e 13 missili, molti dei quali puntati su Kyiv.  La vigilia del vertice Trump-Putin in Alaska a metà agosto ha portato un periodo di due settimane di calma in Ucraina, ma ha anche permesso alle forze russe di accumulare droni d'attacco per i bombardamenti che hanno seguito il vertice con maggiore intensità. Un attacco a Kyiv a fine agosto è diventato il più letale della guerra per la capitale, uccidendo 18 persone e danneggiando gli uffici del British Council e della delegazione dell'Unione europea in Ucraina.     Circa una settimana dopo l'attacco agli uffici della delegazione europea in Ucraina, la Russia ha colpito un altro obiettivo simbolico, questa volta nel quartiere governativo. Un missile balistico che ha colpito il palazzo del Consiglio dei ministri ha distrutto gli ultimi piani dell'imponente edificio di epoca sovietica. L'attacco è avvenuto a circa 450 metri dall'ufficio del presidente ucraino.     Gli attacchi di droni   Secondo i dati raccolti da Armed Conflict Location and Event Data,  da quando Trump è entrato in carica e sono iniziati i bombardamenti russi in primavera e in estate, i civili ucraini hanno subìto tre dei mesi più letali di bombardamenti aerei.    Gli attacchi russi alle infrastrutture

Il voto in Bolivia, che volta pagina dopo 19 anni di potere della sinistra indigenista
9 ore fa | Ven 17 Ott 2025 14:39

Stanno per terminare 19 anni di potere della sinistra radicale indigenista in Bolivia, con il ballottaggio di domenica tra il democristiano Rodrigo Paz Pereira e il candidato di destra Jorge “Tuto” Quiroga Ramírez. “Tuto si presenta come una sorta di Milei boliviano; il ‘capitalismo per tutti’ di Paz potrebbe evocare Hernando de Soto”, ci spiega Cecilia Requena Zarate: già senatrice, e ora eletta come deputato per La Paz come capolista nella coalizione centrista del terzo classificato, Samuel Doria Medina. Al primo turno Paz è arrivato primo a sorpresa, ma adesso i sondaggi darebbero come vincitore Quiroga. “Ai sondaggi per il primo turno c’era una proporzione molto alta di elettori indecisi, fino al trenta per cento. Una gran parte di loro alla fine ha optato per Paz. Adesso gli indecisi sono meno del dieci per cento, ma di nuovo potrebbero decidere loro. Tuto è avanti di quattro punti, ma con un margine di errore di quasi il tre per cento”.   “Il voto per Tuto si concentra principalmente nelle pianure e nelle classi medio-alte. Quello per Paz è nell’ovest. Le zone più alte, indigene, e anche con più povertà. Ma non è che sia riuscito a capitalizzare l'intero voto popolare. Molte persone sono comunque stufe del fallimento economico del modello Mas, che colpisce anche i più poveri. Non c'è benzina, non c'è diesel, i prezzi sono alti, non ci sono dollari”. La differenza? “Tuto rappresenta più chiaramente una destra sulla linea di Milei. Un po’ ammorbidito, perché in Bolivia non puoi non avere una certa componente sociale. Ma, ad esempio, è contrario alla proprietà collettiva della terra, e dividere la proprietà comunitaria dei contadini potrebbe facilitare la loro appropriazione da parte della grande agroindustria. Paz invece si è sforzato di avere anche un lato più popolare e populista. Propone un capitalismo per tutti, che non è un modello socialista o di sinistra. Non usa quei termini”. Ricorda le proposte di Hernando de Soto. “Sì, de Soto. Però, alla fine, non vedo grandi differenze nel modo di affrontare la crisi macroeconomica”.   A proposito della strategia di de Soto per regolarizzare il capitalismo informale: Paz ha fatto scandalo in Cile perché lo accusano di voler legalizzare le auto rubate in quel paese. “Si sposa bene con un'altra sua proposta, di eliminare le dogane boliviane. In Bolivia, ci sono molti veicoli introdotti illegalmente nel paese che non hanno pagato le tasse. Non si sa esattamente quanti siano, ma un numero significativo sono anche veicoli rubati. Non tutti. Questi veicoli sono utilizzati principalmente dalla classe operaia, e in particolare fuori dalle città principali, dove c'è più controllo. Ovviamente la proposta è stata un incentivo a far entrare altre auto rubate, e ciò ha creato sia un problema di relazioni internazionali; sia un problema fiscale, di mancanza di tasse per lo Stato; sia il problema di avere aumentato il parco veicoli, in un momento in cui la Bolivia non produce abbastanza benzina per il mercato interno. Poiché gli idrocarburi sono sovvenzionati, è un ulteriore problema fiscale. Il tutto collegato al divieto che Morales impose di importare veicoli antecedenti al 2005, che rendendo le auto più costose ha incentivato il mercato nero. Ma anche l'attività mineraria in Bolivia è in gran parte illegale. Legalizzarla risolverebbe alcuni problemi, ma ne crea altri di devastazione dell’ambiente”.   L’intero modello economico di Evo Morales era basato sul boom gas naturale, che è ora finito. È vero che sta arrivando il momento del litio? “Un’illusione. Le entrate dagli idrocarburi erano nell’ordine dei miliardi, qua stiamo sulle centinaia di milioni, senza contare il possibile danno ambientale e turistico. Il governo di Arce insiste per fare contratti con Russia e Cina, ma sembra essere più un asset geopolitico che un business”. Comunque, in Bolivia il Mas sta venendo mandato all’opposizione senza i problemi che in Venezuela sono evidenziati dal Nobel per la Pace a María Corina Machado. “Non è che il regime boliviano non abbia cercato di truccare i giochi. Anche da noi c’è stata una repressione spesso dura, anche se non ai livelli del Venezuela. Ma la società civile boliviana è riuscita a resistere”.   Il regime è stato motivato con l’esigenza di dare infine un riconoscimento alla popolazione indigena della Bolivia, che era maggioritaria. Paradossalmente, i censimenti mostrano che proprio con il Mas al potere gli indigeni sono diventati minoranza. “È dipeso anche dal modo in cui sono state modificate le domande del censimento, e c’è stato sicuramente un rifiuto della ideologia di governo quando il modello è entrato in crisi, come c’è stato un effetto dell’urbanizzazione. La Bolivia resta comunque un paese con una forte presenza di una identità indigena, che però si sta anche articolando e modernizzando. Sono sempre più i giovani indigeni che ad esempio fanno rap, e vogliono far parte della cultura urbana ed essere ricchi senza cessare di essere indigeni”.

Le accuse contro John Bolton nel sistema giudiziario trumpiano
12 ore fa | Ven 17 Ott 2025 12:06

John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump tra il 2018 e il 2019, è stato incriminato per possesso e divulgazione di informazioni riservate. Secondo l’accusa, Bolton avrebbe ripetutamente condiviso informazioni con due membri della famiglia, non identificati nell’imputazione, attraverso una mail personale e una chat di gruppo su un’app di messaggistica privata. Ad aggravare il quadro, nel 2021 la casella di posta che avrebbe contenuto le informazioni è stata hackerata da persone riconducibili al governo iraniano: Bolton aveva avvisato che un suo account privato aveva subito un hackeraggio ma non che quella casella contenesse informazioni rilevanti per la sicurezza nazionale. L’imputazione segue una perquisizione che l’Fbi aveva svolto nella sua abitazione privata ad agosto, durante la quale aveva rinvenuto documenti a basso livello di riservatezza, comunque non autorizzati.   Bolton ha subito affermato che tutto questo fa parte di una vendetta politica di Trump. Il presidente aveva, infatti, più volte affermato che Bolton fosse “una persona cattiva” e l’imputazione arriva a breve distanza da quelle per gli altri rivali politici di Trump, l’ex direttore dell’Fbi James Comey e la procuratrice generale di New York Letitia James. Ci sono però alcune differenze sostanziali tra questi casi: anche se è probabile che il dipartimento di giustizia abbia fatto pressione perché Bolton venisse accusato celermente, il caso poggia su basi ben più solide di quelli delle settimane precedenti. Innanzitutto, l’accusa è stata istruita da un procuratore di carriera, seguendo un iter corretto: i due casi precedenti, che giuristi indipendenti hanno detto poggiarsi su evidenze quasi nulle, avevano potuto essere istruiti soltanto dopo che Trump ha sostituito il procuratore distrettuale Erik Siebert con Lindsey Halligan, a lui fedele, che ha velocemente portato avanti le accuse come richiesto dalla Casa Bianca. Inoltre, la casa di Bolton è stata perquisita in agosto sotto approvazione di un giudice, anche in quel caso seguendo i corretti iter giudiziari statunitensi.   Per quanto riguarda la detenzione di materiale classificato in un’abitazione privata, l’accusa a Bolton segue quella a Trump, poi archiviata durante la campagna elettorale del 2024: durante un raid dei federali a Mar-a-Lago, documenti riservati erano stati trovati persino in un bagno dell’abitazione. Inoltre, anche l’ex presidente Biden era stato interrogato da un procuratore speciale per il ritrovamento di documenti riservati risalenti al suo periodo da vicepresidente in una sua casa in Delaware: anche in quel caso, le accuse non vennero portate avanti. La differenza principale col caso Bolton, però, sta nel fatto di non aver solo detenuto informazioni, ma di averle inviate a terzi, per di più attraverso un canale insicuro e quindi passibile di interferenze di potenze straniere, come nei fatti è avvenuto.   La relazione tra Bolton e Trump si è deteriorata col tempo: durante il suo periodo da consigliere, Bolton si era scontrato col presidente sia perché avrebbe voluto che Trump usasse il pugno duro per condannare i test atomici della Corea del nord sia perché era contrario a negoziare una pace coi talebani che avrebbe portato al ritiro delle forze statunitensi dall’Afghanistan. Licenziato da Trump (anche se afferma di essersi dimesso), Bolton ha scritto un memoir molto critico con il presidente, uscito durante la campagna elettorale del 2020. Nel libro si potevano leggere opinioni molto dure, legate all’incompetenza di Trump: inoltre, veniva portata avanti la tesi sostenuta dall’accusa durante il primo impeachment, cioè che Trump aveva condizionato gli aiuti all’Ucraina dell’allora neo-presidente Zelensky a un’indagine contro il figlio di Joe Biden, Hunter, in modo da ostacolare il suo avversario politico. Trump ha cercato di bloccare in ogni modo l’uscita del libro, obiettando motivazioni di sicurezza nazionale, ma non ci è riuscito: da quel momento, Bolton è entrato nella lista nera del presidente.   Una lista che diventa sempre più lunga: Trump, infatti, ha richiesto che vengano posti capi d’imputazione anche contro il senatore democratico Adam Schiff, che ha guidato l’accusa nel primo processo di impeachment nei confronti del presidente, e la procuratrice generale Pam Bondi ha detto che l’uomo dovrebbe chiedere scusa a Trump per aver tentato di rimuoverlo dal suo ruolo. Nel frattempo, Bolton rischia un massimo di dieci anni di carcere per ognuno dei capi d’imputazione dell’accusa.

Tutti i punti della legge di Bilancio, spiegati dal ministro Giorgetti
12 ore fa | Ven 17 Ott 2025 12:04

Il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri a palazzo Chigi, ha risposto a diverse

Je suis "Il Vernacoliere". Ma se sospende le pubblicazioni è perché è cambiato il nostro rapporto con la satira
12 ore fa | Ven 17 Ott 2025 11:53

Il Vernacoliere chiude, per quanto temporaneamente, in attesa di tempi migliori. C’è la crisi della carta, spiega il direttore e fondatore Mario Cardinali, ci sono i social che fagocitano i giornali, ci sono di conseguenza costi che superano gli incassi. Ora ovviamente tutti scopriranno o riscopriranno il Vernacoliere, peggio, tutti saranno il Vernacoliere allo stesso modo in cui sono stati Charlie – per motivi differenti – una decina d’anni fa, e magari quegli stessi social che addentano i giornali alla giugulare diverranno la grancassa della consueta solidarietà superficiale ed esibizionista, che svanisce nel nulla al primo cambio di moda. O magari nemmeno: qualcuno dirà che il periodico satirico livornese ha fatto il suo tempo, qualcuno ammetterà di non capirne l’humour pecoreccio, qualcuno lo accuserà di fomentare l’odio (verso i pisani?) e la sconcezza e la blasfemia, così il Vernacoliere farà la fine del Male, la fine di Cuore, la fine di quelle espressioni della satira che tutti difendono a chiacchiere ma nessuno prende davvero a cuore nell’unico modo che conti davvero, cioè pagando.   Più dei costi che superano gli incassi, più dei social che fagocitano i giornali e più della crisi della carta, l’autoproclamata “pausa di riorganizzazione” del Vernacoliere è sintomo del mutato rapporto con la satira: l’informazione iper-frammentata cui siamo esposti ci ha privati del senso del contesto, che ne è la cornice fondamentale, e il galoppante analfabetismo funzionale ha reso troppo sofisticato perfino l’humour pecoreccio, ormai soppiantato dalla demenzialità, dall’aggressività e dalla rozzezza dei meme. Infine, la permanente commistione fra alto e basso, triturati in un pastone indistinto, ha reso inservibile la satira nella sua funzione di basso che critica l’alto; non c’è più bisogno di un monitore ridanciano, di qualcuno che castighi ridendo i costumi, se tutto è al contempo imprescindibile per tutti (quando ci riguarda individualmente) e dileggiabile da tutti (se riguarda qualcun altro). Auguro al Vernacoliere che la chiusura sia davvero temporanea e breve, anche se per definizione un giornale di satira dovrebbe saperlo a priori: i tempi migliori non arrivano mai.

Il governo Meloni è più immigrazionista dei governi di sinistra. Numeri
12 ore fa | Ven 17 Ott 2025 11:50

“Blocco navale”, “stop all'invasione”. I tormentoni dei principali partiti di centrodestra al governo si scontrano con una realtà dei fatti ben diversa. Secondo i numeri dell’Istat – rielaborati dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) – sono stati 336 mila gli stranieri arrivati in Italia nel 2022, oltre 92 mila in più rispetto all’anno precedente. Il dato è salito poi ancora a 378 mila nel 2023, fino a sfiorare la quota dei 400 mila nel 2024. Inoltre, gli sbarchi nel nostro paese non hanno subìto alcun calo nell'ultimo anno, attestandosi su valori sostanzialmente identici a quelli registrati nel dicembre 2021, quando il ministero dell'Interno era retto da Luciana Lamorgese, e non da Matteo Piantedosi. In poche parole, dall’inizio del governo Meloni l’immigrazione straniera in Italia non ha fatto che crescere.   Le motivazioni sono diverse. “C’è un effetto trascinamento legato alle norme preesistenti e non modificate dal governo Meloni, come quella del ricongiungimento familiare, per cui una persona che arriva in Italia e lavora alcuni anni può far entrare il partner e i figli”, spiega al Foglio Matteo Villa, direttore del DataLab dell’Ispi: “Dalla Danimarca alla Svezia, ma anche in Germania e Austria, negli ultimi due anni si è rimodulata questa legge in maniera restrittiva. In Italia invece no”. Dall’altro lato, le nostre imprese continuano a cercare manodopera straniera per le proprie attività, in mancanza di quella italiana. “Il numero di lavoratori richiesti è cresciuto nel tempo, fino a superare un milione l’anno scorso – prosegue Villa – Di conseguenza, Palazzo Chigi ha allargato parecchio le maglie”. Ed ecco che il governo (in teoria) più a destra del Dopoguerra si ritrova a fare politiche sostanzialmente permissive. Ciò si riflette anche sul numero delle regolarizzazioni. Durante il governo Meloni, ammontano a 368 mila i permessi di soggiorno emessi ogni 12 mesi nel periodo che va da ottobre 2022 a dicembre 2024. Quelli relativi all’esecutivo guidato da Mario Draghi si fermavano a 306 mila. Valori comunque ben più alti di quelli del Conte 1 (239 mila) e del Conte 2 (176 mila). Guardando al paese d’origine, la stragrande maggioranza dei permessi di soggiorno è destinata a stranieri provenienti dall’Africa, cresciuti di 39 mila unità in media ogni anno rispetto al periodo antecedente al governo Meloni. Aumentano anche gli asiatici (+24 mila) così come i migranti che giungono dall’America latina (+13 mila) e dal medio oriente (+2 mila). Per quanto ostacolate, costrette a lunghe traversate in porti lontani dai punti di salvataggio per fare sbarcare i migranti, anche le ong continuano a operare nel Mediterraneo. Anzi, i loro giorni di missione in area Sar (Search and rescue) libica sono aumentati, passando dai 340 del 2023 a 365 del 2025 (dati fino al 14 ottobre). Nettamente di più rispetto ai 267 giorni del 2022 e ai 190 del 2021. “Se si guarda alla loro attività nell'ultimo anno, su circa 70.000 sbarchi, 15.000 sono stati effettuati proprio dalle ong – spiega il ricercatore – È una parte piccola del totale, ma è una percentuale comunque simile a quella degli anni scorsi”. Negli ultimi anni, anche il numero delle ong attive è cresciuto. “Di conseguenza, anche se perdono più tempo per arrivare al porto di sbarco, ce ne saranno comunque altre pronte a ripartire in autonomia”. D’altronde, lo avevamo scritto, il mediterraneo è ancora la rotta più battuta da chi fugge dalla Libia. La tendenza sembra analoga anche nel resto d’Europa. Nel 2023, come nel 2022, tutti i 27 paesi dell'Ue hanno registrato più immigrati che emigrati, con un picco del 45 per cento in Finlandia, guidata da una coalizione di centrodestra. Nel complesso, in quel biennio il tasso di immigrazione è cresciuto in 12 stati, parecchi dei quali governati da partiti di ispirazione conservatrice. “Nel 2014 l’Ue emetteva ogni anno circa 1 milione e 800 mila permessi di soggiorno, dieci anni dopo siamo a 2 milioni in più”, calcola Villa: un aumento costante di regolarizzazioni che va di pari passo con il successo della destra, sia nei parlamenti nazionali sia a Bruxelles. Il paradosso, almeno nel nostro paese, era già noto. “Anche il governo Berlusconi, tra il 2001 e il 2005, è stato fra i più permissivi dal punto di vista di decreti flussi, sanatorie e regolarizzazioni. Di fatto – conclude il ricercatore – le maggiori sanatorie sull’immigrazione sono arrivate con i governi di destra, purché stabili”. Resta solo da capire come raccontarlo ai propri elettori.

A proposito dell'ottimismo, oggi
12 ore fa | Ven 17 Ott 2025 11:22

Abbiamo chiesto agli studenti universitari di ragionare su cosa significhi essere ottimisti oggi. Scrivete anche voi, in duemila battute, a situa@ilfoglio.it. I migliori testi degli studenti universitari saranno pubblicati (qui trovate tutti gli articoli degli studenti pubblicati in questi mesi). Se non siete ancora iscritti alla Situa potete farlo qui, ci vuole un minuto, è gratis.           Essere ottimisti è una sfida sempre più ardua vivendo in un’epoca caratterizzata da una non scontata ricerca della pace. Circondati da guerre e autocrazie, più o meno lontane, la visione da perseguire non può non essere ottimista, senza tralasciare però la consapevolezza di tutte le forze in gioco. La ricerca dell’ottimismo ha la necessità di ripartire soprattutto dalla nuova generazione, abbandonando la delusione verso la politica e quel pensiero qualunquista che crea ancor più margine tra la popolazione e le istituzioni. Qua entra in gioco l’ottimismo, che dovrebbe essere il sale della gioventù, così da poter analizzare la politica come strumento di ricerca di una società migliore. Il ruolo della politica nel dibattito pubblico, da parte sua, non dovrebbe limitarsi a evidenziare il divario tra i partiti ma soffermarsi sulle omogeneità sinonimo di un interesse comune. L’ottimismo in politica non deve esser confuso con l’ingenuità né con una visione superficiale della realtà, è necessario, dunque, analizzare a fondo le complessità dei temi trattati comprendendo tutti i fattori in gioco; è vero che un primo pensiero ottimista implicherebbe la contrarietà ad un riarmo europeo sostenendo motivazioni legate all’inutilità di esso; tuttavia, è bene entrare nel merito del tema osservando ogni dinamica in atto nel difficile contesto geopolitico ottenendo maggiore chiarezza e consapevolezza. È pur vero che, ottimisti, furono coloro i quali si recarono volontari al fronte pur di veder sventolare il Tricolore Italiano, o chi per le proprie idee diede la vita; credo perciò che l’ottimismo unito alla ragione possa esser una linea efficace da perseguire.   Edoardo Chiaverini giurisprudenza, Università di Pisa

Meloni torna in conferenza stampa dopo due anni (ma risponde solo a due domande)
13 ore fa | Ven 17 Ott 2025 11:08

A sorpresa, al termine del Consiglio dei ministri che ha varato la legge di Bilancio, in conferenza stampa si è presentata anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Non era attesa, perché la premier non presenziava a conferenze stampa per presentare progetti del governo dal 3 novembre 2023, quando si presentò accanto ai due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini per illustrare il disegno di legge costituzionale sul premierato. Da allora, è sempre stata assente agli appuntamenti che di solito il governo tiene con la stampa al termine dei Consigli dei ministri. Lo scorso anno, per esempio, mancò alla conferenza stampa per presentare la legge di Bilancio 2025 lasciando solo il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Nei primi nove mesi del 2025, Meloni ha partecipato a una sola conferenza stampa vera e propria, quella di fine anno (ma che è in realtà si è tenuta a inizio gennaio, visto che a fine dicembre la premier l'aveva posticipata per motivi di salute). E secondo un calcolo fatto dal sito Pagella politica, considerando anche i punti stampa e le interviste televisive e ai giornali, ha risposto quest'anno a circa un terzo delle domande (138) in meno rispetto allo scorso anno (quando erano state in totale 163). Questo nonostante Meloni abbia partecipato a 11 dichiarazioni alla stampa e a 10 punti stampa, un numero superiore a quelli tenuti nel 2024.  Dalla famosa ultima conferenza stampa nella sala polivante di Palazzo Chigi del novembre 2023, Meloni aveva partecipato ad altre quattro conferenze stampa: una al termine dell'incontro con l'allora cancelliere tedesco Olaf Scholz, il 22 novembre 2023. Poi l'omologo incontro con la stampa parlamentare del gennaio 2024, A giugno 2024 aveva tenuto una conferenza stampa al termine del G7 in Puglia. E a settembre aveva parlato in conferenza accanto al premier britannico Keir Starmer, in visita a Roma. Accanto a queste, quella inderogabile e istituzionale di gennaio di quest'anno con la stampa parlamentare.  Oggi, dopo aver illustrato i contenuti della Manovra, Meloni ha risposto a due domande, prima che la conferenza stampa fosse interrotta per permettere agli esponenti del governo, compresa la premier, di recarsi ai funerali di stato per i tre carabinieri morti nell'esplosione a Castel D'Azzano, in provincia di Verona, che si terranno nel pomeriggio a Padova.

Il Cdm approva la legge di Bilancio: a breve la conferenza stampa
14 ore fa | Ven 17 Ott 2025 10:08

Il Consiglio dei ministri ha approvato il testo della legge di Bilancio 2026 che verrà ora inviato in Parlamento per l'approvazione. Al termine del Cdm, il ministro dell'Economia e delle Finanze incontrerà i giornalisti in conferenza stampa per illustrare i dettagli della manovra.

"Valentina", la pièce sul potere creativo (e curativo) delle parole
15 ore fa | Ven 17 Ott 2025 09:12

La lingua è il cuore (e cuore non è una parola scelta a caso) della pièce “Valentina”, scritta e diretta da Caroline Guiela Nguyen, direttrice del Théâtre National di Strasburgo, che ieri ha debuttato al Teatro Argentina di Roma, nel programma della quarantesima edizione del Romaeuropa Festival.    Sarà in scena fino a domenica 19 ottobre. Lo spettacolo, in francese e romeno (sottotitolato in italiano), è una fiaba su una madre e sua figlia, Valentina, che vivono al limitare di un bosco fuori da Bucarest. Valentina gioca nella natura, la sua vita è perfetta, fino a quando la madre si ammala di una grave malattia cardiaca che le provoca aritmie e uccide un po’ alla volta il suo cuore (il cuore è l’unico organo che non si rigenera e le cui parti danneggiate diventano fibrosi, tessuto cicatriziale). Così le due si trasferiscono a Parigi per le cure.     La bambina chiede: “Come farò, che non so parlare francese?”, la madre le assicura che se la caverà. Effettivamente, con il cervello plastico dei bambini, impara la lingua molto rapidamente. La madre invece inizia il percorso sfiancante nel sistema sanitario, reso impossibile dal fatto che non parla francese, non riesce a spiegarsi, non capisce quello che la dottoressa, sempre impaziente, le dice. Nello stato di vulnerabilità e panico in cui si trova il corpo rifiuta l’apprendimento, già faticoso in età adulta. A questo si aggiunge che l’incomprensione linguistica spesso è travisata dal giudizio comune con l’ignoranza, il non saper esprimersi con il non saper pensare, e lo sguardo perso di chi non capisce il significato di alcuni suoni, come lo sguardo instupidito di chi non capisce punto. La madre è spaesata, immobilizzata dalla frustrazione e dalla vergogna. Ed è costretta a fare l’ultima cosa che vorrebbe, ovvero portarsi Valentina come interprete dal medico, esponendola a una realtà dolorosa e a delle notizie a cui non vorrebbe mai esporla. Nguyen, che per questa pièce ha lavorato con la comunità romena di Strasburgo (attori professionisti e non), racconta un episodio che ha ispirato la sua storia: un giorno la sua interprete non è potuta andare alle prove poiché stava accompagnando delle donne ucraine durante il parto. Non garantire un interprete vuol dire privare qualcuno del diritto di curarsi, è anche così che la lingua si interseca con la vita quotidiana e determina momenti anche molto intimi. Spesso in questi vuoti istituzionali del sistema sanitario, le famiglie si affidano ai figli per praticità, con tutto il dolore che provoca. Allo stesso modo Valentina diventa l’interprete della malattia di sua madre, che con il cuore malato ma soprattutto pesante la prega di tradurre senza immaginare, nell’illusione che la bambina possa non capire. Ovviamente la bambina capisce tutto, e si assume la responsabilità della salvezza di sua madre. Fino a che punto lo scoprirete in scena, fino a dove può arrivare l’amore, fino a dove può arrivare la forza del cuore. La lingua è veicolo di questa forza, strumento magico della fiaba. Quando la scena si sposta a Parigi, Valentina e sua madre non si incontrano mai nello spazio, come se vivessero in due mondi paralleli e incomunicanti, che si ritrovano solo quando la bambina diventa interprete. Allora il romeno torna la lingua dell’affetto e della complicità. Il francese resta ambivalente: per la madre è il motore che alimenta la stessa malattia. Per Valentina, invece, in un rovesciamento di ruoli, è lo strumento con cui può incidere sulla realtà. Con le parole che dice, e che spesso inventa, protegge sua madre, innanzitutto dalla vergogna. La pièce gioca molto sul rapporto tra verità e bugia, sull’invenzione della verità, su quella che già dal prologo è descritta come “l’histoire d’un miracle”. Andate a teatro per questa fiaba sul potere creativo delle parole.

La sveglia suona o non suona? Cronache di una brutta figura
15 ore fa | Ven 17 Ott 2025 08:56

Mia figlia mi chiede di svegliarla presto una mattina, perché le lezioni iniziano alle otto e lei per uscire di casa alle sette e venti deve svegliarsi più o meno alle quattro del mattino (esagero, ma non molto): mezz’ora di stiracchiamenti, mezz’ora di colazione, mezz’ora di youtube, mezz’ora di varie ed eventuali, mezz’ora di cani e gatti, insomma l’alba non è abbastanza. E alla fatica del risveglio si è aggiunto questo incredibile mistero: la sveglia del telefono che a volte, senza una spiegazione, non suona. Sostiene che ci sono su youtube molti utenti che denunciano questo abominio.    Io chiaramente non ci credo, per forza: quando sveglio mia figlia non bastano le urla, non basta la musica alta, non basta certo il profumo del caffè, non basta telefonarle a raffica da un’altra stanza, non basta minacciarla di rovesciarle addosso un secchio pieno di ghiaccio. Figuriamoci la sveglia ascendente del telefono. L’unica cosa che funziona sono i gatti che entrano al galoppo nella stanza e saltano sul letto e sulla scrivania e fanno cadere le penne apposta e le danno zampate sulla faccia e entrano sotto le lenzuola. Allora si sveglia, ma mi accusa di averla svegliata male, urla contro i gatti (sottinteso: contro di me).    A quel punto io mi offendo (ma come, ti ho preparato il caffè, anzi il cappuccino, a volte anche le uova strapazzate, ti ho chiamato dolcemente, poi un po’ meno dolcemente, poi ti ho telefonato, poi ho messo la tua canzone preferita, poi poi poi, e tu fai così, ma svegliati da sola, ma lo sai quante cose ho da fare iooooo) e insomma la giornata comincia malissimo. Per questo abbiamo fatto il patto che la sveglio solo se mi implora, solo se registra un video testimoniale in cui mi chiede espressamente di svegliarla in qualunque modo, anche sbattendo fra loro due coperchi. Oppure schiacciando le bottiglie di plastica vicino al suo orecchio. O vuotando la lavastoviglie in quel modo possente che richiede piatti molto resistenti agli urti.    E stavolta mia figlia mi ha chiesto di svegliarla presto, perché non si fida del telefono, sostiene che questo movimento di traditi dalla sveglia dell’iPhone stia aumentando in modo incontrollabile. Io non ci credo. La sveglia vera, quella con le pile, l’ha presa suo fratello che si alza davvero troppo presto per ripassare e offrirsi volontario in tutte le materie, ed è una cosa di cui non voglio sapere niente perché è contraria ai miei princìpi. Accetto di svegliarla, quindi, ma solo dopo che mi ha fornito il video in cui me lo chiede esplicitamente,  in mano una pagina del calendario con cerchiato il giorno di cui si tratta. Mi preparo psicologicamente la sera prima, so che sarà un giorno difficile, so che devo prepararmi al peggio, so che devo chiedere aiuto ai gatti e al cane, so che devo mettere in conto di spaccare qualche stoviglia. Vado a letto però piena di buoni propositi, perché a volte magicamente succede anche che mia figlia si alzi quasi subito, e di buonumore. Domattina potrebbe essere quel giorno.   Metto la sveglia molto presto, anche se so che non ne avrò bisogno, e infatti anche questa volta apro gli occhi che fuori è ancora buio. Va bene, mi dico, non esagerare, non è ancora ora. Dopo un minuto o forse due riapro gli occhi, controllo l’ora: sono le otto e quaranta, la sveglia dell’iPhone non è suonata, la lezione è persa, fuori c’è il sole e mia figlia dalla porta mi guarda sogghignando, circondata dai suoi gatti.

Quando l’impresa diventa cultura
16 ore fa | Ven 17 Ott 2025 08:15

"In Italia l’arte si è innamorata dell’industria. Ecco perché l’industria è un fatto culturale”. La sintesi di Gio Ponti, uno dei padri dell’architettura e del design italiano del Novecento (suoi, tra l’altro, i progetti del Grattacielo Pirelli, del palazzo dell’Assolombarda e del “Trifoglio” del Politecnico a Milano, oltre che di una miriade di oggetti d’arredamento del “bello e ben fatto”) racconta bene il senso d’una stagione virtuosa che va dagli anni Cinquanta ai primi Settanta e in cui le relazioni tra il mondo imprenditoriale e quello della cultura stimolavano una creatività originale che investiva produzione, consumi, stili di vita e canoni di rappresentazione di una complessa e vivace modernità. Le pubblicazioni aziendali dell’epoca (la Rivista “Pirelli”, “Civiltà delle macchine” della Finmeccanica/ Iri, “Comunità” della Olivetti e “Il Gatto Selvatico” dell’Eni) offrono brillanti testimonianze di una “cultura politecnica” che sa tenere insieme saperi umanistici e conoscenze scientifiche, grazie anche al contribuito di intellettuali di peso come Elio Vittorini, Norberto Bobbio, Carlo Bo, Franco Ferrarotti, Giulio Carlo Argan, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni, Giuseppe Luraghi, Eugenio Montale, Ottiero Ottieri, Attilio Bertolucci e tanti altri ancora: il meglio della grande cultura italiana.   Quelle relazioni s’interrompono negli anni Settanta e Ottanta dei duri conflitti sindacali e sociali. E per lungo tempo si fatica a riprenderle. E oggi? Dario Di Vico, recensendo su “Il Foglio” (30 settembre) l’interessante libro di Marco Ferrante sulla storia di “Civiltà delle macchine”, ricorda quella stagione virtuosa e i suoi protagonisti (Olivetti, Pirelli, Feltrinelli, etc.) e poi nota l’assenza di un impegno convinto e continuativo degli imprenditori negli investimenti culturali (anche se è ingeneroso parlare di “vuoto”). Ma adesso, carenze e silenzi recenti a parte, vale la pena dare conto di una tendenza al confronto che, proprio nel mondo imprenditoriale, va crescendo intensamente.   L’esperienza delle “Settimane della cultura d’impresa” (oramai alla XXIII edizione), organizzate da Confindustria e Museimpresa, vedono in calendario, ogni anno, un gran numero di iniziative (oltre cento) per aprire al pubblico stabilimenti e uffici e fare vivere mostre, dibattiti, pubblicazioni. Il tema, quest’anno, è “Raccontare l’intraprendenza - Per fare crescere le imprese aperte e connesse”, coinvolgendo anche il mondo dei social media (“Mani che pensano: Intelligenza Artificiale, arte e cultura per il rilancio dell’impresa” era il tema del 2024). Una strategia, appunto, culturale. L’idea di fondo: valorizzare il “saper fare” del made in Italy e affiancargli un impegno crescente per “far sapere”. Produrre e raccontare. E fare capire che l’impresa, straordinario ascensore sociale, è un luogo aperto alle nuove generazioni per realizzare i loro progetti di lavoro e di vita.     La strada è già percorsa, da qualche tempo, non solo dalle grandi ma anche da parecchie piccole e medie aziende: due festival del cinema d’impresa (a Roma e a Bergamo), alcuni premi per la letteratura industriale e per valorizzare l’“heritage” storico e culturale, rappresentazioni teatrali (a Milano, in collaborazione con il Piccolo Teatro e il Teatro Parenti) e una lunga serie di altre iniziative, aperte all’ascolto e alla collaborazione di tutti i media, per dare voce polifonica a una caratteristica di fondo: l’impresa non è solo un attore economico che crea prodotti, lavoro, innovazione, ma anche un attore sociale e culturale, nelle relazioni positive con tutti glistakeholders.   Investire sulla cultura, non solo da “mecenate” ma soprattutto da “produttore di cultura politecnica”, tra umanesimo e scienza, è la strada su cui continuare il cammino. La conferma? I dodici premi a imprese italiane tra i venti “Compasso d’oro” internazionali per il design, consegnati ai primi di settembre a Osaka: progetti e prodotti di design, sintesi di bellezza e tecnologia. Arte e industria, appunto. La lezione di Gio Ponti è ancora d’attualità.   Antonio Calabrò presidente del Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria e di Museimpresa

Copia e incolla della memoria (confusa): dal Pd a Conte, la stessa svista sul rastrellamento del ghetto
16 ore fa | Ven 17 Ott 2025 07:21

Nel giorno del ricordo del rastrellamento del ghetto di Roma, avvenuto il 16 ottobre 1943, il Partito democratico ha pubblicato sui propri canali social un post commemorativo accompagnato da una fotografia che, tuttavia, non ritrae affatto la vicenda avvenuta durante il regime e la guerra nella capitale italiana, bensì il rastrellamento del ghetto di Varsavia (qui la fonte). L’immagine, tra le più celebri dell’Olocausto, documenta infatti la deportazione degli ebrei polacchi nel 1943 e non ha alcun legame diretto con la tragedia romana.  Il caso ricorda da vicino un episodio analogo che vide protagonista Giuseppe Conte nel 2021, quando anche l’allora leader del Movimento 5 stelle pubblicò un post per commemorare il rastrellamento del ghetto di Roma usando, anch’egli, una foto del ghetto di Varsavia. In quell’occasione, l’ex premier fu duramente criticato sui social e dai media per la svista.      Stessa ricorrenza, stessa foto, stesso scivolone: cambiano i social media manager, non la svista. E nemmeno la figuraccia. La storia, questa volta recente, non insegna.

This is how the Emirates give Haftar the patrol boats used to push back migrants
17 ore fa | Ven 17 Ott 2025 07:02

“I have a position for you.” The voice recorded on August 2, 2023, by an NGO Sea Watch aircraft belongs to a pilot from the Maltese Armed Forces engaged in a Frontex operation — the EU agency responsible for external border security. The plane is flying over a fishing boat carrying 250 migrants in the central Mediterranean. The radio message is directed at a patrol boat belonging to the coast guard of eastern Libya, controlled by General Khalifa Haftar. “I have a position for you, if you want it. Were you looking for something? I have a position for you,” says the pilot, adding the boat’s coordinates. Shortly after, the Tareq Bin Zeyad (TBZ), a large patrol vessel, reaches the spot indicated by the aircraft. Armed militiamen board the fishing boat, tie it with a rope, and tow it back to Benghazi. The international journalistic investigation that reconstructed this case two years ago — a textbook example of migrant pushbacks coordinated between Europe and a government unrecognized by both the EU and the UN — also revealed the fate of those on board once they were returned to Libya. “We were beaten and tortured for 22 days. The women were raped,” a Syrian asylum seeker would later recount.    Fast-forward to June 5 of this year. The Madleen sailing boat, part of Greta Thunberg’s Freedom Flotilla and carrying MEP Rima Hassan, is sailing south of Crete towards Gaza to deliver humanitarian aid to Palestinians when it receives an emergency call. Frontex asks for urgent assistance to rescue about forty migrants who had left Libya on a rubber dinghy now adrift. As soon as the Madleen reaches the boat in distress, it is approached by a large patrol vessel, the TBZ3, which warns the activists to stay away. Fearing deportation to Libyan detention centers, four migrants jump into the sea and swim to the sailboat; the others are picked up by the patrol boat and taken back to Benghazi. The survivors say they were fleeing the war in Sudan. How did Haftar acquire the TBZ and TBZ3? Understanding who allowed Haftar to equip himself with such military assets helps explain how the systematic violation of the arms embargo in Libya ultimately benefits European states, which prefer the Cyrenaican general to have the means to stop migrant flows. Il Foglio has reconstructed the chain of events — beginning last August — that led to the seizure in Spain of a shipment of patrol boats used for illegal migrant pushbacks, originating from the United Arab Emirates and bound for Benghazi, in violation of the UN arms embargo. Such seizures are rare: “Most of the military material sent to Libya from the Gulf or Turkey manages to pass through the Mediterranean undetected,” confides a diplomatic source to Il Foglio. Despite the exceptional nature of the seizure, all European actors involved — from Spain to the EU’s Operation Irini, and even the European Commission — chose not to publicize the event. From Dubai to Benghazi Jeremy Binnie, analyst at Jane’s (the world’s leading open-source platform on defense and security), told us that in June this year, the cargo ship Bahri Diriyah delivered several vessels to Benghazi, all built by the Grandweld shipyards in Dubai. Brand new, among them were four patrol boats — all carrying the TBZ designation, after the Tareq Bin Zeyad Brigade commanded by Saddam Haftar. According to the UN, this brigade is responsible for war crimes and human rights abuses against migrants. It is this same brigade — also supported by Russian Wagner mercenaries — that Europe relies on to control the migration routes from eastern Libya toward Greece, Malta, and Italy. They are, effectively, doing Europe’s “dirty work”: the pushbacks. A practice illegal under international law but now a pillar of EU migration strategy. The Spanish Seizure The June shipment was just one part of a larger delivery from the Emirates to Haftar. The second batch, due in July, went wrong thanks to Spanish authorities and Operation Irini, which — under a UN mandate — monitors compliance with the arms embargo. On July 18, the Lila Mumbai, a Liberian-flagged cargo ship, left the Emirati port of al-Fujayrah bound for Benghazi. Forced to sail around Africa due to the Red Sea conflict, the ship carried several large vessels visible on deck, some covered with white tarps. Upon crossing the Strait of Gibraltar on August 27, Spain’s Guardia Civil stopped the Lila Mumbai at Ceuta for suspected arms embargo violations. Local newspaper El Faro de Ceuta reported that the interception order came from Spain’s Foreign Ministry. The European Commission declined to comment, but Operation Irini confirmed its central role: “The operation alerted Spanish authorities to the opportunity for inspection, enabling timely action,” an Irini source told Il Foglio. Since 2020, Irini has directly seized arms-bound shipments to Libya only twice — both in 2022. Usually, EU member states handle such cases based on Irini’s “suggestions.” The Lila Mumbai seizure was kept quiet: no press releases, no social media posts. The ship was escorted to the port of Algeciras for further inspection. On September 18, broadcaster Europasur filmed the offloading of ten vessels — eight fast boats and two large patrol boats. One of them bore the identification code IMO TBZ17 — allowing investigators to trace its history. Tracing the Ships’ Ownership Both the TBZ17 and its twin, the TBZ18, were built by Grandweld, the same Emirati yard as all TBZ-class ships delivered to Benghazi since 2023. Newly built, the TBZ17 was registered under the flag of St. Kitts and Nevis on May 2 this year. Curiously, just days before the Lila Mumbai was intercepted, on July 24, the TBZ17 was deregistered. According to the Lloyd’s List Seasearcher database, from May 21 the ship’s owner was Multham International Ltd, a company registered in Hong Kong. Before that, according to Vessel Finder, it was owned by 2020 Volume Boats Maintenance & Repairing Ltd, based in Dubai — the same company that appears in UN reports as a serial violator of the arms embargo. The Network Behind the Ships The UN Panel of Experts on Libya (December 2024 report) identifies Volume 2020 Boats Maintenance & Repairing Ltd as owned by Amro Ibrahim, a Jordanian citizen based in the UAE. Between 2023 and 2024, his companies sent multiple naval units to Benghazi, directly to entities controlled by the Haftar family — 41 inflatable boats and 5 patrol vessels. Two of these had an unusual path: Belgian Coast Guard ships (Rodman 66 and Damen Stan 2706) sold to an unnamed Italian company, which then resold them to another of Ibrahim’s companies, Volume FZCO, that delivered them to Benghazi in March 2023. Even the first TBZ — the same ship involved in the migrant pushback with European coordination — belonged to 2020 Volume Boats Maintenance & Repairing Ltd. On LinkedIn, a man identifying as Indian lists himself as a “supervisor” for 2020 Volume by Asha Co. in Bayda, near Benghazi. The Hong Kong Connection How, then, did ownership transfer from the Emirati company to Hong Kong’s Multham International Ltd? According to LinkedIn, Volume FZCO explains: “We were founded in Jordan in 2014, expanded to the UAE in 2017, and to Hong Kong in 2020.” Hong Kong business records show that Multham International Ltd — the official owner of Haftar’s TBZ ships — belongs to another Jordanian, Omar Mahmoud Hasan Mustafa, who also owns Qingdao Haoding International Trading Co. Ltd in China, specializing in boats and auto parts. Both men, Ibrahim and Mustafa, declined Il Foglio’s interview requests. A Hong Kong management firm representing Multham confirmed only: “We will inform Mr. Mustafa of your inquiry; it is up to him whether to respond.” Experts suggest that this may be a sale-and-leaseback scheme common in maritime trade, allowing real owners to hide behind nominal shell companies in jurisdictions like Hong Kong. Spain’s “No Comment” and Growing Tensions Madrid refused to comment officially on the Lila Mumbai case. “Relations with Haftar are already tense; they don’t want new friction with Cyrenaica,” a source close to PM Pedro Sánchez told Il Foglio. The rift touches multiple fronts — arms, oil, even sports. Last week, FC Barcelona was expected in Benghazi for a football tournament at a new stadium built by the Haftar family. The eastern Libyan authorities had already paid the club €5 million in advance, but Barça suddenly pulled out, citing “security concerns.” The affront angered the Haftars, prompting protests and a complaint letter from the Tobruk Parliament to the Spanish embassy. Atlético Madrid has since been invited to play instead. The arms issue runs deeper: in December 2024, El Independiente revealed an investigation into three Spanish firms accused of supplying Haftar with 44 drones worth nearly €15 million. Spain issued an arrest warrant for Saddam Haftar, the general’s son. Yet in July last year, Saddam flew to Genoa under a false name, only to be detained days later in Naples — using his real passport this time. Italian police held him briefly, weighing Spain’s request for extradition. In the end, he was released and flown back to Libya, enraging his father. Haftar retaliated by ordering the shutdown of the Sharara oil field — one of the world’s largest — operated by Spain’s Repsol. Europe’s Dilemma While Spain wages its own war against Haftar by seizing boats and drones meant for migrant control, Greece, Malta, and Italy bear the consequences — as main landing countries for migrants from eastern Libya. With full European Commission backing, border externalization — even via Haftar — has become a cornerstone of EU migration policy. For the EU, the UAE is a convenient partner. Abu Dhabi pursues its own agenda in Cyrenaica, using it as a hub to supply arms to Sudan and Chad, where Emirati companies hold vast gold-mining interests. Almost daily, flights from Abu Dhabi bring weapons and vehicles to southern Libyan airports, which Haftar allows through in exchange for “gifts” — like the vessels aboard the Lila Mumbai — strengthening his grip on migration routes. Unanswered Questions Two mysteries remain after the Spanish seizure. Once the ten vessels were confiscated and the ship released, the Lila Mumbai sailed to Tripoli — a stop not originally planned — arriving on September 26 and staying a day and a half, long enough to unload “something else.” A similar pattern occurred last August with the Aya 1, another Emirati cargo ship stopped in Greece while carrying armored pickup trucks bound for Haftar. It was later allowed to continue to Misrata, from where part of the cargo reached Benghazi by land. Rumors now suggest the EU is trying to redirect seized military equipment to Tripoli — ostensibly to strengthen the only internationally recognized Libyan government. One case in point: the MV Meerdijk, seized in 2022 with armored vehicles, still docked in Marseille. In theory, such transfers could bypass the embargo under the pretext of supporting legitimate authorities. In practice, as the Aya 1 case shows, those weapons often end up in Haftar’s hands anyway. Neither Operation Irini nor the European Commission have commented on the matter.

L’attentato a Sigfrido Ranucci non è un fatto da archiviare
18 ore fa | Ven 17 Ott 2025 05:53

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre un ordigno è esploso a Campo Ascolano, frazione di Pomezia, distruggendo l’auto del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, e danneggiando la seconda vettura di famiglia e la facciata della casa. L’esplosione, avvenuta intorno alle 22, è stata così potente da poter uccidere chiunque si trovasse nei pressi. La figlia del giornalista era passata pochi minuti prima con la sua macchina. Sul posto sono intervenuti carabinieri, Digos, vigili del fuoco e polizia scientifica: secondo le prime ricostruzioni sarebbe stato utilizzato almeno un chilo di esplosivo. Ranucci ha collegato l’attentato all’annuncio, avvenuto pochi giorni fa, dei temi delle nuove inchieste di Report. L’episodio riporta in primo piano il tema della sicurezza di chi fa giornalismo d’inchiesta, in un paese dove la libertà di informare non è mai scontata. Prendere sul serio questo gesto significa riconoscere che ogni intimidazione a un cronista è un colpo alla fiducia pubblica e al diritto dei cittadini a sapere. Non serve enfatizzare, ma serve capire: non è solo una macchina saltata in aria, è un segnale che va fermato prima che diventi abitudine. Ha ragione Giorgia Meloni, intervenuta stamattina su questo tema, quando scrive che “la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere”.

Zaia e la "grande angheria": “Mi vogliono fare scomparire”. Obiettivo del Doge: superare FdI di Meloni
19 ore fa | Ven 17 Ott 2025 04:22

Roma. Salvini non riesce più a guardarlo in faccia, ma Meloni lo sottovaluta. Sottovaluta la Lega che sta nascendo a est della Lega, sottovaluta lo Zaia “cave canem”. A Padova, ad apertura della ca... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti

Sangiuliano pollicino. Il giallo della candidatura in Campania
20 ore fa | Ven 17 Ott 2025 04:18

“Non mi candido no, lo faccio apposta per... Contenuto a pagamento - Accedi al sito per abbonarti